La Corte di Cassazione cambia rotta sull’incasso giuridico

La rinuncia del socio al credito per interessi attivi su finanziamenti erogati a una società partecipata non comporta l’obbligo di sottoporre a tassazione il relativo ammontare: la sentenza della Suprema Corte n. 16595/2023 del 12.06.2023 rappresenta un punto di svolta sulla dibattuta questione del c.d. “incasso giuridico”.

La sentenza della corte di cassazione n. 16595 del 12 giugno 2023: incasso giuridico, rinuncia del socio al finanziamento senza tassazione.

Nella sentenza del 16 giugno 2023 n. 16595, la Corte di Cassazione ha affrontato la questione del trattamento fiscale da riservare alle rinunce dei soci a crediti riferiti a redditi tassati per cassa giudicando non applicabile, per i periodi di imposta successivi al 2015, la fictio iuris del c.d. “incasso giuridico”.

La questione oggetto di sentenza riguardava la somma di Euro 10 milioni ricevuta da una società italiana a titolo di finanziamento da parte di una consociata con sede in Lussemburgo, con interessi pattuiti nella misura del 9%.

Quest’ultima, dopo aver ceduto il credito residuo alla controllante, in data 15 dicembre 2017 ha rinunciato al credito, sia per la parte in linea capitale, sia per gli interessi.

In via prudenziale la contribuente ha applicato sugli interessi, che avrebbe dovuto corrispondere ma che non ha corrisposto a seguito della rinuncia, l’aliquota del 26 per cento ai sensi dell’art. 26, comma 5 del DPR 600/1973, nonostante il mancato pagamento, considerandoli come “giuridicamente” incassati dalla propria creditrice.

Successivamente, in data 13 febbraio 2019, la contribuente ha presentato istanza di rimborso della somma versata asserendo che la stessa non fosse dovuta e, formatosi il silenzio rifiuto, ha proposto ricorso innanzi alla Commissione tributaria provinciale.

La C.t.p.[1] accoglieva il ricorso affermando che il presupposto impositivo era venuto meno in quanto gli interessi non erano stati pagati e che la tesi del c.d. “incasso giuridico” non era condivisibile.

Tale sentenza di merito, alla stregua di numerose altre pronunce di merito (CTR Lombardia n. 354 del 29 gennaio 2018; CTP Reggio Emilia n. 197 del 15 ottobre 2018; CTR Veneto n. 26 del 29 gennaio 2009, CTR Lazio, Sez. XXVIII n. 120 del 12 giugno 2012), ha sostenuto che la tesi del c.d. “incasso giuridico” non risulta condivisibile perché contrasterebbe con il principio di capacità contributiva previsto dall’art. 53 della Costituzione e, più in generale, con i principi dell’ordinamento tributario.

L’Agenzia delle Entrate ha proposto appello avverso tale sentenza e la C.t.r.[2] non ha condiviso le conclusioni cui è pervenuta la Commissione tributaria provinciale, ritenendo che la rinuncia a interessi e capitale comporti una maggiore capitalizzazione della società controllata.

 La C.t.r. Lombardia, nell’accogliere l’appello dell’Amministrazione finanziaria, motiva la propria sentenza riportando che secondo una giurisprudenza costante della Suprema Corte (tra tutte Cassazione, Sez. 6, Ordinanza 1335/2016[3]) la rinuncia del credito presupponeva un suo utilizzo anche se non incassato.

Tale orientamento era stato mutuato da alcuni documenti di prassi dell’Amministrazione finanziaria (Circolare Ministeriale n. 73/94 e risoluzione Agenzia Entrate n. 124/2017) secondo la quale «la rinuncia ai crediti correlati a redditi che vanno acquisiti a tassazione per cassa (quali, ad esempio, i compensi spettanti agli amministratori e gli interessi relativi a finanziamenti dei soci) presuppone l’avvenuto incasso giuridico del credito e quindi l’obbligo di sottoporre a tassazione il loro ammontare, anche mediante applicazione della ritenuta di imposta».

Nella sentenza in commento, la Cassazione ripercorre innanzitutto la ragione che ha portato ad elaborare la tesi dell’“incasso giuridico”, ovvero la prevenzione dei salti di imposta che possono verificarsi quando un soggetto (la società, debitrice) è tassato per competenza, mentre l’altro (il socio, creditore) è tassato per cassa.

Così, ad esempio, in caso di finanziamento, la società avrebbe potuto dedurre gli interessi per competenza, sebbene il socio, se persona fisica, li avrebbe dichiarati solo dopo l’incasso[4].

Pertanto, al fine di comprendere il concetto di incasso giuridico, la Corte di Cassazione ritiene opportuno distinguere tra disciplina previgente e disciplina attuale.

In base alla disciplina in vigore fino al periodo di imposta in corso al 7 ottobre 2015 (data di entrata in vigore del D.Lgs. 147/2015, c.d. decreto internazionalizzazione, che ha introdotto nell’art. 88 del TUIR il comma 4-bis) la rinuncia da parte del socio al credito vantato nella società non determinava l’insorgere di una sopravvenienza attiva tassabile.

Tale norma andava letta congiuntamente all’art. 94 comma 6 e all’art. 101 comma 7 del TUIR, i quali indicano che l’ammontare relativo al credito oggetto di rinuncia non era ammesso in deduzione in capo al socio e si aggiungeva totalmente al costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione detenuta nella società debitrice.

Proprio per colmare l’asimmetria impositiva (o “salto di imposta”) derivante sia dal fatto che nella norma previgente non venivano incluse nella nozione di sopravvenienza attiva fiscalmente rilevanti tutte le rinunce dei soci ai crediti vantati nei confronti della società, sia che poteva esserci uno sfasamento temporale della deducibilità (per competenza) del costo e dell’imponibilità (per cassa) del provento, è stata elaborata la fictio iuris dell’incasso giuridico. Inoltre, rinunciando al credito, il socio avrebbe conseguito il risultato di vedere aumentato il valore fiscale della propria partecipazione, e “patrimonializzato” la società.

A partire dal periodo di imposta successivo al 7 ottobre 2015, la norma di riferimento è l’art. 88 comma 4 bis del TUIR, in base al quale «la rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale. A tal fine, il socio, con dichiarazione sostitutiva di atto notorio, comunica alla partecipata tale valore; in assenza di tale comunicazione il valore fiscale del credito è assunto pari a zero».

Anche gli artt. 94, comma 6, e 101, comma 7, del TUIR sono stati modificati, per cui l’importo oggetto di rinuncia si somma al costo fiscalmente riconosciuto alla partecipazione «nei limiti del valore fiscale del credito oggetto di rinuncia».

Ecco quindi che la rinuncia di un credito avente valore fiscale pari a zero, quale quello generato da un compenso tassato per cassa, non incrementa il valore fiscale della partecipazione; di contro, detta rinuncia comporta la tassazione integrale della sopravvenienza attiva in capo alla società.

Pertanto le asimmetrie cui la tesi dell’incasso giuridico intendeva porre rimedio sono state risolte dal legislatore, secondo la sentenza in commento, novellando la formulazione dell’art. 88 del TUIR, per la società partecipata, e degli artt. 94 e 101 del TUIR per il socio creditore.

Conclusioni.

La conclusione cui giunge la Suprema Corte con la Sentenza n. 16595 del 12 giugno 2023 (non applicabilità dell’incasso giuridico derivante dalla modifica dell’art. 88 del TUIR) rappresenta sicuramente un passo avanti per giungere al superamento del concetto di incasso giuridico rispetto ai precedenti arresti giurisprudenziali della stessa Corte[5], ma allo stesso tempo ne rappresenta un limite in quanto non viene preso in considerazione il concetto centrale di capacità contributiva.

Un importante documenti di dottrina come la norma di comportamento n. 201/2018 dell’AIDC (Associazione Italiana Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili) ha puntualmente analizzato il tema della capacità contributiva collegato alla rinuncia di un credito[6].

All’interno della succitata norma di comportamento viene richiesto, ai fini della realizzazione del presupposto d’imposta, che la rinuncia al credito si ricolleghi, anche indirettamente, ad una controprestazione o, più in generale, ad un vantaggio economico, come avviene quando il credito sia utilizzato per estinguere delle controprestazioni del rinunciante, e si ribadisce che la mera rinuncia non può convertirsi automaticamente in una presunzione di incasso dei relativi importi.

In ogni caso si auspica che la sentenza in commento permetta sia di superare il contenuto della Risoluzione 124/E del 13.10.2017 dell’Agenzia delle Entrate, che, seppur successiva all’entrata in vigore del D.Lgs 147/2015, è motivata unicamente sulla scorta di richiami giurisprudenziali antecedenti alla modifica normativa, sia di portare il Fisco ad abbandonare i rilievi privi di contenuto evasivo. Inoltre la tesi dell’incasso giuridico, come è stato condivisibilmente sostenuto in dottrina[7], dovrebbe essere definitivamente abbandonata in tutti quei casi in cui un salto d’imposta non sia nemmeno astrattamente configurabile, perché la società non ha effettuato deduzioni per competenza (è il caso dei compensi agli amministratori, che sono dedotti per cassa), o perché il creditore rinunciante è un socio in regime d’impresa, che non consegue redditi di capitale rilevanti “per cassa”.  Si tratta, comunque, di un primo e atteso passo nella giusta direzione

a cura di Stefania Duzzi

per il Centro Studi Deotto Lovecchio & Partners

 

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[1] Sentenza C.t.p. Milano n. 5729/2019 sez. 12 del 18.12.2019

[2] Sentenza C.t.r. Lombardia n. 2427/2021 del 29 giugno 2021

[3] Con tale pronuncia, per ricondurre a tassazione la rinuncia ad un trattamento di fine mandato da parte di amministratore e socio, si è affermato che «la rinuncia presuppone il conseguimento del credito il cui importo, anche non materialmente incassato, viene comunque “utilizzato”, sia pure con atto di disposizione avente natura di rinuncia». In tal modo, l’ordinanza parrebbe fissare un principio generale.

[4] L’art. 45 del TUIR richiede che i redditi di capitale siano “percepiti”.

[5] Cassazione n. 26842 del 18.12.2014; n. 1335 del 26.01.2016; n. 2057 del 30.01.2020; nn. 12222 e 12223 del 14.04.2022; n. 22609 del 19.07.2022.

[6] Afferma l’AIDC che «la mancata percezione del compenso non manifesta alcuna capacità contributiva e, di conseguenza, non comporta il manifestarsi di alcun presupposto impositivo, secondo quanto statuito dall’art. 1 del tuir, in forza del quale “presupposto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche è il possesso di redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie indicate all’art. 6” La tassazione sarebbe, dunque, in contrasto con il dettame costituzionale»; in termini, nel commentare Cass. n. 16595/23, A. Salvati, Questioni in tema di incasso giuridico e rimedi alle asimmetrie normative, in Riv. dir. trib., suppl. on line, 12 giugno 2023.

[7] M. Antonini-P. Piantavigna, Si consolida la (criticabile) tesi dell’incasso “giuridico” dei crediti rinunciati dai soci, in Corr. trib., 2022, p. 756;D. Liburdi-M. Sironi, Incasso giuridico: le conseguenze sull’amministratore che rinuncia al TFM, in il fisco, 2023, p. 2781.

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