Fatture da ricevere e sopravvenienze attive: quale rapporto?

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 3901 del 9 febbraio 2023, secondo cui un importo delle fatture da ricevere immutato nell’esercizio successivo non può determinare il recupero a tassazione a titolo di sopravvenienza attiva, fornisce le spunto per alcune riflessioni sull’argomento.

 

Profili civilistici e contabili del debito per fatture da ricevere e la generazione delle sopravvenienze

La rilevazione del debito per “fatture da ricevere” viene effettuata alla ricezione della fattura. Fino a quando il momento dello scambio e quello di ricezione coincidono non si manifestano disallineamenti; può avvenire però che vi siano operazioni di acquisto effettuate a ridosso del termine dell’esercizio, per cui viene meno tale coincidenza.

Il rispetto del principio di competenza economica, principio contabile per cui, per calcolare il risultato economico di un dato periodo, è necessario considerare solo i costi e i ricavi che si riferiscono, richiede che tali eventuali manifestazioni numerarie, relative ad operazioni di acquisto di beni e servizi, e i relativi debiti, siano rilevati nell’esercizio in chiusura.

Nello specifico, le rilevazioni in bilancio per fatture da ricevere non rientrano fra i fatti intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio, bensì tra gli accadimenti verificatisi nell’esercizio ma di cui si è venuti a conoscenza solo nell’esercizio seguente.

Nel corso dell’esercizio successivo, poi, a mano a mano che le fatture pervengono, il conto delle “fatture da ricevere” viene “svuotato” correlando ogni fattura pervenuta alla precedente rilevazione compiuta nell’esercizio precedente.

Ove l’accertamento del costo per fatture da ricevere effettuato nell’esercizio di competenza risultasse insufficiente, la differenza negativa confluirà necessariamente in una sopravvenienza passiva dell’esercizio successivo; si tratterebbe quindi di un errore di stima e di un difetto di competenza del costo, con la conseguenza che tale sopravvenienza viene ritenuta fiscalmente non deducibile nell’esercizio della sua rilevazione.

Quando è rilevante fiscalmente una sopravvenienza?

Occorre preliminarmente verificare in che misura le sopravvenienze attive siano rilevanti ai fini delle imposte sui redditi.

Il comma 1 dell’articolo 88 del DPR 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir) stabilisce[1] al riguardo che in relazione alle imposte sui redditi si considerano sopravvenienze attive:

  • i ricavi o altri proventi conseguiti a fronte di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi;
  • i ricavi o altri proventi conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il reddito in precedenti esercizi (per esempio, rientra in questa categoria il maggior valore di mercato attribuibile all’azienda restituita al cedente ai sensi dell’art. 1523 del codice civile per inadempimento dell’acquirente, rispetto all’ammontare del credito residuo vantato dal cedente, in caso di vendita con riserva di proprietà);
  • la sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi.

Dalla definizione normativa si desume, dunque, che gli elementi caratterizzanti le sopravvenienze attive in senso proprio sono:

  • la presenza di poste di competenza di esercizi precedenti cui l’evento sopravvenuto è collegato sul piano causale, atteso che, se tale evento si fosse verificato nel corso dello stesso periodo d’imposta cui compete il ricavo o il costo oggetto di rettifica, non si determinerebbe alcuna sopravvenienza sotto il profilo fiscale, già rilevando ai fini della formazione del reddito d’impresa l’importo (netto) correttamente quantificato tenendo conto di tutte le componenti reddituali tra loro correlate. La rettifica di un costo o di un ricavo contabilizzato in esercizi precedenti deve necessariamente fondarsi su un evento sopravvenuto, affinché possa trattarsi di sopravvenienza (se tale rettifica è invece dovuta alla correzione di un errore compiuto nella valutazione di una precedente operazione, non si verifica alcuna deroga al principio di competenza, dovendo la correzione assumere rilevanza con riguardo a detto periodo e non a quello in cui si rimedia all’errore);
  • la necessità che l’operazione originaria abbia assunto (o dovesse assumere a norma di legge) rilevanza ai fini delle imposte sui redditi, intendendosi tale anche la cancellazione di un debito (ad esempio per remissione), che modifica l’oggetto di un’obbligazione incidendo sull’imposta, che diventa dunque un provento fiscalmente rilevante.

In base al principio di simmetria fiscale, se l’evento sopravvenuto si ricollega ad un costo o ad un provento che non ha concorso alla formazione del reddito del periodo d’imposta di competenza (in quanto fiscalmente irrilevante), anche la relativa rettifica non assume rilevanza fiscale. Infatti, il costo non dedotto ai fini della determinazione del reddito d’impresa si considera fiscalmente tamquam non esset, sicché, se esso non ha assunto rilevanza alcuna a tal fine, non può assumerla neppure la sua sopravvenuta insussistenza (in sostanza, se sotto il profilo fiscale un costo non esiste, non può neanche venire meno).

In altri termini, il comma 1 dell’art. 88 Tuir stabilisce che la sussistenza di una correlazione tra il provento sopravvenuto e un costo di competenza di esercizi precedenti rileva sia in senso positivo (comportando l’imponibilità del provento rettificativo se il suddetto costo è stato dedotto), sia in senso negativo (escludendone l’imponibilità se il medesimo costo non è stato dedotto). Ne consegue che l’imputazione al conto economico di un provento, rilevato a seguito della riduzione di un costo indeducibile di competenza di esercizi precedenti, costituisce sopravvenienza attiva solo agli effetti contabili e non anche sotto il profilo fiscale, quale sopravvenienza attiva non imponibile (come tipicamente accade, per esempio, in caso di utilizzo di fondi svalutazione crediti o fondi per rischi e oneri costituiti mediante svalutazioni o accantonamenti fiscalmente non dedotti)[2].

 

Recenti pronunce ed interventi dell’Agenzia delle Entrate in merito al trattamento fiscale nell’ambito del reddito d’impresa delle sopravvenienze attive.

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 3901 del 9 febbraio 2023 si è occupata di un tema molto spesso oggetto di rilievi da parte dell’Agenzia delle Entrate: nello specifico la frequente ripresa a tassazione di sopravvenienze attive che l’Ufficio assume non essere state contabilizzate e dunque dichiarate. Gli ermellini hanno affermato il principio secondo cui il mantenimento in bilancio di un debito per fatture da ricevere, il cui importo risulti immutato rispetto all’esercizio precedente, non può determinare il recupero a tassazione a titolo di sopravvenienza attiva.

Infatti, secondo ormai un orientamento consolidato della Cassazione, in relazione ad imposte sui redditi d’impresa, la sopravvenuta insussistenza di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi, che costituisce sopravvenienza attiva ai sensi dell’art. 88 del DPR 22 dicembre 1986 n. 917 in precedenza richiamato, si realizza in tutti i casi in cui una posizione debitoria, già annotata come tale, debba ritenersi cessata ed assuma in bilancio una connotazione attiva, con il conseguente assoggettamento ad imposizione in relazione all’esercizio in cui tale posta attiva emerge in bilancio e acquista certezza[3].

Pertanto si può affermare che al fine di identificare la sopravvenienza attiva e l’anno di imputazione è necessario il requisito della certezza dell’estinzione di una posizione debitoria.

Nel caso trattato dai Giudici di Legittimità, un debito che era stato iscritto nel 2006 secondo le regole di competenza di cui all’art. 109 Tuir, ancorché non pagato, in assenza di un evento che generi la cancellazione della posta passiva, non poteva imputarsi all’anno d’imposta successivo come sopravvenienza attiva. Questo perché, ai fini dell’imputazione di una sopravvenienza attiva ai sensi dell’art. 88 comma 1 del Tuir, è necessario il sopraggiungere di un evento, in un esercizio successivo a quello di imputazione della passività, che estinguendo con certezza il costo o il debito registrato nell’esercizio precedente, configuri una posta attiva sopravvenuta.

La Cassazione[4] ha anche chiarito che la sopravvenienza attiva si realizza solo con il venir meno di una passività effettivamente esistente, con la conseguenza che la componente attiva iscritta in bilancio a seguito della riduzione di una passività rilevata a fronte di operazioni ab origine inesistenti e/o fittizie non può considerarsi tale e non deve essere assoggettata a tassazione.

Tali orientamenti giurisprudenziali si pongono in continuità con le prese di posizione della prassi amministrativa. Con la risposta a interpello n. 240 del 6/03/2023 l’Agenzia delle Entrate ha infatti fornito degli interessanti chiarimenti in merito al trattamento fiscale delle sopravvenienze attive nell’ambito del reddito d’impresa.

Secondo l’Agenzia, infatti, l’art. 88 comma 1 Tuir qualifica come sopravvenienze attive imponibili

«i ricavi o altri proventi conseguiti a fronte di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi e i ricavi o altri proventi conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il reddito in precedenti esercizi, nonché la sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi».

Dunque, anche per l’Agenzia rilevano i) il carattere sopravvenuto del fatto generatore del componente positivo di reddito; ii) la sua stretta correlazione con un componente economico (o con una passività patrimoniale) che abbia concorso alla formazione del reddito d’impresa in un periodo d’imposta precedente l’insorgere della sopravvenienza stessa.

Tale risposta richiama la precedente n. 71/2019 secondo cui la sopravvenienza attiva emersa in sede di cancellazione di debiti iscritti in bilancio, a seguito del disconoscimento a fini fiscali (a seguito di accertamento) di costi afferenti a fatture per operazioni inesistenti in precedenza imputati a conto economico, non costituisce componente di reddito tassabile ai sensi dell’art. 88 comma 1 Tuir[5].

Quanto riportato, e richiamato anche nella prassi amministrativa, risulta interessante per il suo porsi in contrasto con altre pronunce passate[6], per cui doveva emergere materia imponibile in tutti i casi in cui un passività veniva soppressa e quindi anche in assenza di oneri precedentemente dedotti.

a cura di Cristina Rigato e Giorgia Sarragioto

per il Centro Studi Deotto Lovecchio & Partners

 

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NOTE

[1] In maniera speculare rispetto a quanto previsto dal successivo art. 101, comma 3 del Tuir, con riferimento alle sopravvenienze passive.

[2] Tale principio è stato affrontato anche dal Ministero delle Finanze nella Ris. 28.6.1979, n. 9/813, in base a cui i rimborsi d’imposta configurano una sopravvenienza attiva imponibile solo se le imposte cui si riferiscono hanno già assunto carattere di onere deducibile nella determinazione del reddito imponibile; se invece le imposte oggetto di rimborso sono fiscalmente indeducibili, il loro rimborso non dà luogo a sopravvenienze attive imponibili

[3] Cfr. anche Cass. n. 24580/2022; Cass. n. 1508/2020 e Cass. n. 20546/2006.

[4] Cass. n. 19219/2017; Cass. n. 26314/2020.

[5] Tale orientamento si pone in continuità con altri documenti di prassi. Oltre alla già citata R.M. n. 813/79, si veda la Circolare Ministeriale n. 73/1994 in riferimento a rimborsi spese.

[6] Su tutte Cass. n. 12436/2011.

 

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