La creazione di Comunità Energetica Rinnovabili (“CER”) può rappresentare uno strumento funzionale al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità, in particolare nell’ottica della c.d. “transizione energetica”, ma anche nel contesto sociale. Si tratteranno di seguito i principali aspetti di interesse delle CER, con alcuni cenni ai profili fiscali.
Premessa.
Gli obiettivi ESG (Environmental, Social and Governance) fissati dal programma d’azione Agenda 2030 si possono raggiungere in svariati modi. Ogni attore ha la possibilità di configurare la strategia di sostenibilità che meglio si adatta al contesto in cui opera, potendo dare sfogo alla propria creatività.
Si tratta di un impegno che deve riguardare tutti, non solo le istituzioni pubbliche o le grandi imprese. Anche il singolo cittadino o la piccola comunità sono chiamati a dare il proprio contributo.
Ecco che la creazione di una Comunità Energetica Rinnovabile (CER) può rappresentare, in particolare per gli attori di più piccole dimensioni, uno strumento funzionale a centrare obiettivi di sostenibilità, in particolare nell’ottica della c.d. “transizione energetica”, ossia del graduale passaggio dalle fonti energetiche fossili a quelle rinnovabili, ma anche – come verrà rappresentato nel prosieguo – in un’ottica di contesto sociale.
D’altronde, già nel 2001, la Commissione sullo sviluppo sostenibile dell’ONU ha preso atto che l’energia rappresenta un elemento imprescindibile ai fini del raggiungimento dello sviluppo economico e sociale della comunità[1].
Cosa sono le Comunità Energetiche Rinnovabili?
Le Comunità Energetiche Rinnovabili sono organismi costituiti con il fine di originare benefici ambientali, sociali ed economici a favore dei propri membri, che possono essere i cittadini, le imprese, altri enti collettivi (enti del terzo settore, società cooperative, enti religiosi, ecc.) e le Autorità e le Amministrazioni locali.
Si tratta di un soggetto giuridico di diritto autonomo di tipo aperto volto essenzialmente a produrre energia elettrica avvalendosi di tecnologie rinnovabili innovative, quali impianti fotovoltaici, eolici, idroelettrici o a biomassa, da distribuire ai propri membri, in modo tale da rendersi indipendenti dalla grande rete energetica. L’attività principale, ancorché non necessariamente prevalente, è dunque quella di autoproduzione di energia elettrica, ma, nel contesto delle CER, possono essere esercitate anche altre attività completamente avulse rispetto a quella primaria (attività turistiche, attività di ristorazione, attività ludiche o ricreative, ecc.).
Lo scopo principale non deve però essere quello lucrativo (al limite può sussistere uno scopo lucrativo secondario), essendo la finalità di fondo delle CER essenzialmente di tipo mutualistico e di condivisione. Mutualità e condivisione rappresentano quindi i fili conduttori delle Comunità Energetiche Rinnovabili.
I benefici sono molteplici: l’efficienza nell’utilizzo della risorsa, la riduzione dei costi, la migliore qualità del servizio – considerate anche le condizioni più favorevoli di approvvigionamento – la produzione di energia “pulita”, lo sviluppo di nuove filiere di produzione, la creazione di occupazione[2], ecc. Non meno importante, le CER favoriscono la coesione e lo sviluppo delle comunità di appartenenza (al riguardo, si veda più oltre, nel paragrafo specificatamente dedicato alla sostenibilità).
Visti i numerosi impatti positivi, il Consiglio dell’Unione Europea, mediante la Direttiva RED II (2018/2001/UE), ha disciplinato per prima volta le Comunità Energetiche Rinnovabili, che vengono definite come l’organismo giuridico: “a) che, conformemente al diritto nazionale applicabile, si basa sulla partecipazione aperta e volontaria, è autonomo ed è effettivamente controllato da azionisti o membri che sono situati nelle vicinanze degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili che appartengono e sono sviluppati dal soggetto giuridico in questione; b) i cui azionisti o membri sono persone fisiche, PMI o autorità locali, comprese le amministrazioni comunali; c) il cui obiettivo principale è fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi azionisti o membri o alle aree locali in cui opera, piuttosto che profitti finanziari”.
Già da questi primi spunti, si evince chiaramente come le finalità delle CER siano strettamente collegate alla sostenibilità (si veda più oltre).
La disciplina di riferimento
Nell’ordinamento italiano, la disciplina normativa di riferimento delle Comunità Energetiche Rinnovabili è contenuta nel D.lgs 199 del 08/11/2021[3], che ha recepito la sopra richiamata Direttiva RED II (direttiva 2018/2001/UE).
In linea con i principi da quest’ultima disciplinati (si veda in particolare l’articolo 2, punto 16), della direttiva 2018/2001/UE), viene espressamente stabilito che l’obiettivo principale delle CER è quello di fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi soci o membri o alle aree locali in cui opera la comunità (articolo 31, comma 1, lett. a), del Dlgs n. 199/2021).
La CER non può dunque avere fini di lucro, e ciò comporta delle conseguenze anche sulla veste giuridica che la CER può assumere.
Difatti, benché non venga regolamentata una specifica forma giuridica rivolta alle CER, dovrebbe essere escluso che, per queste ultime, possa essere scelta la veste giuridica di enti con finalità lucrative, come società di capitali o di persone (comprese le società benefit, che comunque mantengono lo scopo di lucro come obiettivo principale).
Al di fuori di tali forme societarie, alla CER può essere attribuita la tipologia giuridica che meglio si addice al contesto di riferimento, come associazione, ente del Terzo settore, società cooperativa, consorzio, fondazione, ecc. Secondo i notai[4], sarebbe altresì ammessa la forma di società con la qualifica di impresa sociale.
Nello specifico, deve trattarsi di un organismo dotato di soggettività giuridica in capo al quale possano essere imputati rapporti giuridici attivi e passivi in modo autonomo rispetto ai propri membri o componenti. In sostanza, come prescritto dall’articolo 31, comma 1, lett. b), del Dlgs n. 199/2021, la CER deve essere un soggetto distinto e separato dai propri membri, costituito ex novo oppure modificando l’atto costitutivo di un soggetto già esistente, anche eventualmente avvalendosi dell’istituto della trasformazione[5].
Anche in relazione alla qualifica dei membri partecipanti alla comunità energetica si riscontra, tutto sommato, piena libertà, potendo prendervi parte persone fisiche, imprese (in particolare le PMI, mentre sono escluse le imprese di grandi dimensioni[6]), associazioni con personalità giuridica di diritto privato, enti territoriali e autorità locali, ivi incluse le amministrazioni comunali, gli enti di ricerca e formazione, gli enti religiosi, quelli del terzo settore e di protezione ambientale nonché le amministrazioni locali contenute nell’elenco delle amministrazioni pubbliche divulgato dall’Istat. Gli unici limiti interessano le imprese: oltre alle condizioni dimensionali appena riportate, per tali soggetti la partecipazione alla CER non può costituire l’attività commerciale o industriale principale. In sostanza, le imprese che vogliono partecipare alla CER non devono esercitare in via esclusiva o principale attività riconducibili al settore energetico.
In linea con lo scopo delle CER di cui si è più sopra riferito, particolare attenzione viene posta sui consumatori finali, in particolare quelli più “deboli”, quali le famiglie a basso reddito o quelle vulnerabili, i quali non possono incontrare ostacoli o limitazioni all’accesso nella Comunità Energetica (direttiva RED, articolo 21). Gli Stati membri devono pertanto impegnarsi a rimuovere ogni tipo di discriminazione in tal senso.
A questo riguardo, va inoltre messo in evidenza che non necessariamente un membro della CER debba essere anche un consumatore dell’energia autoprodotta, potendo anche prendervi parte solo come “finanziatore”, magari con l’intento di perseguire obiettivi di sostenibilità (si veda più oltre).
In conformità con principi di fondo che caratterizzano le Comunità Energetiche, ai sensi dell’articolo 31, comma 2, lett. b), del Dlgs n. 199/2021, è ulteriormente previsto che l’energia prodotta debba essere prioritariamente destinata all’autoconsumo istantaneo del sito ove è ubicata la CER, ovvero alla “condivisione con i membri della comunità”. Solo l’energia eccedente può eventualmente essere ceduta a terzi (o accumulata).
Considerato il concetto di aggregazione su base locale posta a fondamento delle CER, ogni singola Regione è chiamata a recepire la normativa nazionale, adattandola alle esigenze del proprio territorio, mediante specifici provvedimenti.
Come le Comunità Energetiche Rinnovabili possono contribuire a raggiungere gli obiettivi di sostenibilità
Nella parte introduttiva è stato messo in evidenza che le CER contribuiscono senz’altro a soddisfare, su diversi versanti, gli obiettivi ambientali e sociali che si è posto il piano d’azione Agenda 2030.
Entrando più nello specifico, emerge con evidenza come le CER garantiscano l’accesso a prezzi accessibili a servizi energetici affidabili e moderni, migliorano l’efficienza energetica, riducendo gli sprechi e l’utilizzo di combustibili fossili nell’ottica della c.d. “decarbonizzazione”, e si avvalgono di tecnologie per la produzione di energia a basso impatto ambientale, venendo così soddisfatto il goal n. 7 del programma d’azione Agenda 2030, ossia “energia pulita ed accessibile”, così come i goal n. 12 , “consumo e produzione responsabili”, e 13, “lotta contro il cambiamento climatico”.
Ma anche in relazione agli obiettivi “social”, ossia la lettera “S” dell’acronimo ESG, le CER possono dare il proprio contributo. Infatti, anche il goal n. 8 “lavoro dignitoso e crescita economica” e il goal n. 9 “imprese, innovazione e infrastrutture” possono essere realizzati, in quanto senz’altro le CER agevolano la crescita dell’occupazione, favoriscono l’ottimizzazione delle risorse naturali a disposizione, utilizzano tecnologie innovative e “pulite” e, conseguentemente, incentivano la ricerca scientifica nell’ambito di tali tecnologie.
Sempre focalizzandosi sulla sfera sociale, le CER – considerata la particolare tutela dei consumatori più vulnerabili, venendo assicurato anche a questi ultimi l’accesso ad un servizio base essenziale, come l’energia elettrica – può dare il proprio contributo per sconfiggere la povertà (goal n. 1) e – potenziando e promuovendo l’inclusione sociale e garantendo, senza discriminazioni di alcun tipo, pari opportunità – per ridurre le disuguaglianze (goal n. 10).
In considerazione di tutto quanto è stato sopra riportato, non può che essere soddisfatto anche il goal n. 11, “città e comunità sostenibili”: è infatti evidente come le CER conducano ad avere città meno inquinate e più efficienti e, promuovendo la coesione sociale, concorrano in modo determinante a sviluppare la comunità di appartenenza.
Si rileva pertanto che le CER possono avere un ruolo importante nello sviluppo sostenibile. Non a caso, su spinta dell’Unione Europea, sono stati previsti degli incentivi economici per favorire la crescita di questo “fenomeno”.
Gli incentivi economici
I vantaggi non si esauriscono qui. Oltre ai benefici in termini ambientali e sociali di cui si è poc’anzi fatto cenno, anche dal punto di vista economico le CER possono produrre dei benefici, che si traducono in incentivi statali (e regionali in talune ipotesi).
La prima misura incentivante introdotta è una tariffa premio ventennale sull’energia rinnovabile prodotta e condivisa, regolamentata dagli articoli 3-6 del DM n. 414/2023, attuativo dell’articolo 8 Dlgs n. 199/2021, che si compone di una parte fissa, calibrata in funzione della dimensione dell’impianto utilizzato per la produzione di energia, e di una parte variabile, rapportata al prezzo di mercato dell’energia.
Ulteriore incentivo, disciplinato dall’articolo 6 TIAD, attuativo dell’articolo 32, comma 3, lettera a), del Dlgs n. 199/2021, è dato dal contributo di valorizzazione sulla base dell’energia autoconsumata (c.d. “contributo ARERA”), che non presenta termini di durata e valorizza i benefici sulla rete pubblica che consente l’autoconsumo.
È altresì previsto, per le CER situate in Comuni con meno di 5.000 abitanti, un contributo a fondo perduto (cumulabile con la tariffa incentivante, seppur entro limiti definiti) a copertura parziale dei costi per la realizzazione o il potenziamento degli impianti utilizzati per la produzione di energia da fonti rinnovabili, che attinge dai fondi stanziati dal PNRR. Tale contributo, ai sensi degli articoli 7-10 del DM n. 414/2023, attuativi dell’art. 14, comma 1, lett. e), del Dlgs n. 199/2021, può arrivare a coprire fino al 40% dei costi ammissibili in relazione all’investimento effettuato per realizzare un nuovo impianto o per potenziarne uno esistente.
Al riguardo, si segnala infine che dall’8 aprile 2024 è operativo il portale per la richiesta dei contributi sul sito del Gestore dei servizi energetici (GSE). Le istanze vanno presentate telematicamente entro il 31 marzo 2025.
I profili fiscali
Analizzati gli incentivi economici destinati alle CER, si ritiene utile ora affrontare brevemente il loro trattamento fiscale. A questo fine, è possibile fare riferimento alla Risposta a interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 37 del 20 gennaio 2022 (che riprende alcuni principi già espressi nella Risoluzione n. 18/E/2021 relativa ai condomìni).
Il citato documento di prassi tratta infatti i profili IVA e reddituali con riguardo sia agli incentivi economici indicati nel precedente paragrafo (id est la tariffa premio e il ristoro delle componenti tariffarie), sia al corrispettivo per la vendita di energia non autoconsumata, distinguendo il trattamento fiscale anche a seconda della natura del soggetto percettore (referente “consumatore privato”, CER strutturata in forma di ente non commerciale, referente “terzo” che svolge attività d’impresa).
Con riferimento alle imposte dirette, l’Agenzia sostiene che il corrispettivo per la vendita dell’energia eccedente l’autoconsumo istantaneo che viene ceduta al GSE costituisce in linea di principio un reddito diverso, derivante da attività commerciale non abituale, ma esclude che per i “clienti finali” gli incentivi economici possano assumere rilievo fiscale. Analoghe conclusioni valgono per le CER costituite in forma di enti non commerciali, che ai sensi dell’art. 144 del TUIR determinano i redditi secondo le categorie di cui all’art. 6.
Occorre però tenere conto dell’art. 119, comma 16-bis, del D.L. n. 34/2020, secondo cui «l’esercizio di impianti fino a 200 kW da parte di comunità energetiche rinnovabili costituite in forma di enti non commerciali […] non costituisce svolgimento di attività commerciale abituale». Se tale limite è superato, tutta l’attività energetica si considera attività commerciale, come tale produttiva di reddito d’impresa.
Con riguardo all’IVA, l’Agenzia riconosce che gli incentivi economici (tariffa premio e ristoro) costituiscono dei contributi esclusi da imposta, ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. a), del D.P.R. n. 633 del 1972. Infatti, tali importi non rappresentano il prezzo o il corrispettivo per la fornitura di energia, ma un contributo per la remunerazione degli impianti, non collocandosi in un rapporto di tipo sinallagmatico. Tali considerazioni, precisa l’Agenzia, restano valide indipendentemente dalla natura del soggetto percettore (persona fisica, ENC o imprenditore).
Quanto invece al corrispettivo per la vendita di energia, lo stesso si considera escluso da IVA, per assenza di abitualità dell’attività esercitata, sempreché ricorrano le condizioni previste dal già richiamato art. 119 del D.L. n. 34/2020. Infine, se il referente (cioè il mandatario nei rapporti con il GSE) della CER o del gruppo di autoconsumo è un terzo, produttore di energia elettrica[7] che svolge attività d’impresa, saranno rilevanti ai fini IRES sia il premio, che la restituzione, che i corrispettivi. Inoltre, il (solo) corrispettivo della cessione assumerà rilevanza anche ai fini IVA[8], e ciò anche con riferimento ai “piccoli” impianti, atteso che l’art. 119 cit. non riguarda gli esercenti attività d’impresa.
a cura di Maurizio Nadalutti e Andrea Gaeta
per il Centro Studi Deotto Lovecchio & Partners
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[1] U.N. Economic and Social Council, Commission on Sustainable Development, Report of the Ad Hoc Open-Ended Intergovernmental Group of Experts on Energy and Sustainable Development, New York, marzo 2001.
[2] M. Pane, A. Ghisi, “Comunità Energetiche rinnovabili: la forma giuridica più utile per accedere a benefici fiscali e contributi GSE”, Il Fisco 29/2022.
[3] Una prima regolamentazione a carattere transitorio era contenuta nell’articolo 42-bis del Dl n. 162 del 30 dicembre 2019 (c.d. “Decreto Milleproroghe”), convertito, con modificazioni dalla Legge n. 8 del 28 febbraio 2020.
[4] Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n.38-2024/I, “Le incentivate comunità energetiche rinnovabili e il loro atto costitutivo”.
[5] Consiglio Nazionale del Notariato, cit.
[6] In relazione ai requisiti dimensionali, occorre fare riferimento ai parametri contenuti nella raccomandazione 2003/361/CE del 6 maggio 2003.
[7] Come consentono le regole operative del GSE; cfr. i §§ 1.2.2.1 e 1.2.3.1.
[8] Da assolvere, precisa la Risposta n. 37/E/2022, con il meccanismo del reverse charge (cfr. l’art. 17, comma 6, lett. d-quater) del D.P.R. n. 633/1972).