La sentenza della Corte di Cassazione n. 34576 del 23 novembre 2022: effetti preclusivi dell’adesione.
Il caso sottoposto all’esame della Corte di Cassazione riguarda una serie di atti accertativi emessi per il recupero di maggiori imposte (anni dal 2004 al 2008) e di irrogazione sanzioni (anni dal 2005 al 2009), fondati sull’omessa dichiarazione di investimenti finanziari e rapporti di conto corrente in valuta estera intrattenuti in Stati a fiscalità privilegiata.
Tali atti venivano poi definiti mediante accertamento con adesione. Tuttavia il contribuente, nel sottoscrivere l’accordo con l’Ufficio, dichiarava di poter far fronte al debito erariale solo a condizione che venissero rese disponibili le somme depositate in un conto corrente acceso presso la BNL e sottoposto a sequestro penale.
Poiché tale condizione non si è verificata il contribuente, allo scadere dei venti giorni previsti per il versamento delle somme dovute ai sensi dell’art. 8, co. 1, del D.Lgs. 218/1997, ha provveduto ad impugnare l’originario atto di accertamento, considerando non perfezionato a norma di legge l’accordo sottoscritto con l’Amministrazione finanziaria.
La CTP ha accolto parzialmente i ricorsi con due distinte sentenze, che sono state riformate in appello con l’accoglimento dell’appello incidentale dell’Ufficio e la declaratoria di inammissibilità degli atti introduttivi[1].
La CTR, infatti, riteneva che, sebbene il mancato versamento delle somme concordate, determinato dalla non disponibilità della Banca ad eseguire i pagamenti, fosse indipendente e privo di effetti ai fini della definizione dell’accordo, il contribuente, al contrario, fosse vincolato alla mera sottoscrizione dell’atto di adesione, che precluderebbe l’impugnazione dell’atto di accertamento “originario”.
La Corte di Cassazione, investita della questione, ha risolto a favore dell’Erario le doglianze sollevate dal contribuente, basate sulla violazione (sotto diversi profili) del D.Lgs. n. 218/97, distinguendo gli effetti della conclusione dell’accertamento con adesione da quelli del suo perfezionamento.
Si afferma, così, che «quando l’istanza di adesione abbia avuto buon esito, nel senso che il concordato si sia concluso, l’accertamento così definito – mediante anche la fissazione del quantum debeatur – diventa intoccabile, tanto da parte del contribuente che non può più impugnarlo, quanto da parte dell’Ufficio che non può più integrarlo o modificarlo come prescrive il D.Lgs n. 218 del 1997, art. 2, comma 3». Prosegue la Corte: «distinto rispetto alla conclusione dell’accordo è invece il “perfezionamento della definizione” concordata che si ottiene, come si è detto, mediante il versamento all’erario di quanto concordemente stabilito (o mediante il versamento della prima rata). Invero, solo dopo il perfezionamento, ossia dopo il pagamento del debito tributario scaturente dall’accordo, l’atto impositivo perde efficacia (art. 6, comma 4, ultimo periodo)».
Pertanto, aggiunge la Corte richiamando dei propri precedenti[2], «dopo la conclusione dell’accertamento con adesione mediante la fissazione del quantum debeatur, al contribuente non resta che eseguire – quindi “perfezionare” – l’accordo versando quanto da esso risultante, essendo normativamente esclusa la possibilità di impugnare tale accordo e, a maggior ragione, quella di impugnare l’atto impositivo oggetto della transazione, il quale conserva efficacia ma solo a garanzia del fisco, finché non sia “perfezionata” la procedura, ossia non sia stata interamente eseguita l’obbligazione scaturente dal concordato».
La Cassazione si esprime, quindi, nel senso di una distinzione tra due momenti: quello della conclusione dell’accordo, che si realizza con la sua sottoscrizione, e quello del suo perfezionamento, che attiene al completamento della fattispecie, cioè alla compiuta esecuzione dell’obbligazione scaturente dall’accordo.
Di più: la Suprema Corte statuisce che la reviviscenza dell’efficacia dell’originario avviso di accertamento, nel caso di mancato adempimento dell’accordo, costituisce una previsione posta unicamente a garanzia del fisco e non anche del contribuente, essendo esclusa la possibilità, dopo la conclusione dell’accordo, di ripensamenti, stante la sua immodificabilità.
Ne deriva che il mancato versamento delle somme dovute in base all’accertamento con adesione non inficerebbe la validità dell’accordo stesso, ma giustificherebbe da parte dell’amministrazione finanziaria l’adozione di normali mezzi di coercizione, cioè la possibilità di porre in riscossione l’atto impositivo.
La tesi, come si può intuire, è particolarmente gradita all’Agenzia delle entrate, sul cui sito web, nella pagina dedicata all’accertamento con adesione, si legge che «se le parti raggiungono un accordo, i contenuti dello stesso vengono riportati su un atto di adesione che va sottoscritto da entrambe le parti. L’intera procedura si perfeziona soltanto con il pagamento delle somme risultanti dall’accordo stesso. Solo così, infatti, si può ritenere definito il rapporto tributario. Se non si raggiunge un accordo, il contribuente può sempre presentare ricorso al giudice tributario contro l’atto già emesso (o che sarà in seguito emesso) dall’ufficio».
Sembrerebbe, quindi, necessario distinguere il mero accordo, che vincola il contribuente ma non l’Erario, dall’accordo “con pagamento”, che vincola entrambe le parti. Tuttavia questa distinzione, come ci si accinge a vedere, non ha alcun fondamento nella legge.
Un orientamento da ripensare.
Nel momento in cui fa coincidere il momento della conclusione dell’accordo con quello della sua sottoscrizione, la Corte di Cassazione si orienta verso un’interpretazione poco ragionevole del perfezionamento della procedura di adesione[3].
È proprio il tenore letterale del testo normativo ad escludere la possibilità di attribuire all’accordo di adesione, sottoscritto da entrambe le parti ma non perfezionato (con il pagamento dell’intero o quantomeno della prima rata), valore sostitutivo dell’avviso di accertamento.
Proprio le norme richiamate nella pronuncia in commento, ossia gli art. 6, comma 4, e art. 9, del D.Lgs n. 218/1997, consentono infatti di concludere per l’impossibilità di attribuire un qualsiasi rilievo al “concordato” non perfezionato. La prima di esse stabilisce che l’avviso di accertamento originariamente notificato perde efficacia solo all’atto del perfezionamento della definizione, mentre l’art. 9 afferma, in maniera inequivocabile, che «la definizione si perfeziona con il versamento» di cui al precedente art. 8.
Sino a quel momento, cioè sino all’effettivo versamento del dovuto, l’atto originariamente notificato rimane efficace, non però unilateralmente «a garanzia del fisco»,come sostiene dalla Corte, ma anche nei confronti del contribuente, che potrà impugnarlo in caso di mancato perfezionamento (cioè, di pagamento).
Il tenore della legge non consente di attribuire all’atto di adesione non perfezionato (cioè, non “pagato”) un’efficacia asimmetrica, cioè di essere non vincolante per il fisco (che può riscuotere l’atto originario) ma solo per il contribuente (che non può impugnarlo).
È senz’altro corretto ritenere che, nella disciplina attuale, l’accertamento con adesione sottoscritto ma non seguito dal pagamento sia tamquam non esset per l’ente impositore, dato che – altrimenti – non vi sarebbe alcun incentivo per i contribuenti a dar seguito agli accordi, in quanto otterrebbero la riduzione dell’imponibile accertato con la sottoscrizione “non impegnativa”. Tuttavia, anche per il principio di parità delle parti, la sottoscrizione non seguita da accordo non può impegnare il contribuente, al quale deve essere consentito il ricorso contro l’avviso.
L’indirizzo in commento, invece, postula la contemporanea esistenza di due atti, contenenti differenti pretese impositive con garanzie volte unicamente all’amministrazione finanziaria: tale soluzione lascerebbe totalmente “scoperto” il contribuente, che si troverebbe privo di ogni tutela. Infatti, non potrebbe impugnare né l’accordo di adesione, giusta il disposto dell’art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 218/97, né l’avviso di accertamento originariamente notificatogli.
L’orientamento della Cassazione, ripreso da ultimo dall’ordinanza 19 settembre 2023, n. 26818 e della sentenza 23 ottobre 2023, n. 29310, è storicamente contrastato dalla dottrina, in base all’idea secondo cui il mancato perfezionamento del concordato mantiene in vita il precedente avviso e con esso anche la facoltà di tutela giurisdizionale del contribuente, mentre solo il versamento permette il fenomeno di sostituzione, ai sensi dell’art. 6, comma 4, del D.Lgs 218/1997[4].
L’irragionevolezza dell’orientamento qui criticato può desumersi, a contrario, dagli artt. 48 e 48-bis (e oggi anche 48-bis.1, per la conciliazione “provocata” dal giudice) del D.Lgs. n. 546/92 che, a seguito della riformulazione dovuta al D.Lgs. n. 156/2015, condizionano il perfezionamento della conciliazione (rispettivamente) fuori udienza e in udienza non al pagamento ma, rispettivamente, alla «sottoscrizione dell’accordo» e «alla redazione del processo verbale» d’udienza. Se nella conciliazione giudiziale è sufficiente la mera sottoscrizione a determinare la sostituzione del precedente rapporto[5], è possibile, ancora più che in passato, apprezzare la diversa formulazione del D.Lgs. n. 218/97, che richiede il versamento, senza dar luogo a situazioni di “limbo” (e oltretutto con effetti asimmetrici).
Riteniamo, pertanto, che la mancata esecuzione dell’accordo non impedisca la possibilità di impugnare l’avviso di accertamento[6], perché è solo il mancato versamento a determinare la perdita di efficacia dell’accertamento; diversamente, si verrebbe a creare una “convivenza”, non solo temporanea, di due atti.
È quantomai auspicabile, quindi, un deciso revirement giurisprudenziale, improntato a un’interpretazione più aderente al dato normativo e al riconoscimento dell’effettiva parità delle parti.
a cura di Stefania Duzzi
per il Centro Studi Deotto Lovecchio & Partners
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[1] Come si evince dal § 2.
[2] Cass. 27.07.2020, n. 15980; Cass. 25.01.2019, n. 2161; Cass. 13.07.2015, n. 14533; Cass. 26.05.2021, n. 14547; Cass. 04.07.2022, n. 2117.
[3] In senso conforme, Cass. 30 agosto, n. 25497; Cass., 30 aprile 2009, n. 10086.
[4] Si vedano, tra gli altri, E. Marello, L’accertamento con adesione, Giappichelli, 2001, p. 193 e Id., Il “perfezionamento” dell’accertamento con adesione e le conseguenze del mancato versamento, Giur. it., 2010, p. 1215 (ove si definisce la tesi della “garanzia pro fisco” una «strana acrobazia interpretativa»); D. Stevanato, Mancato perfezionamento della procedura di adesione e impugnabilità dell’originario avviso di accertamento, GT – Riv. giur. trib., 2009, p. 883 ss., che si esprime in termini di «abnorme concorso di atti di accertamento regolanti la medesima pretesa». La sentenza Cass.n. 34576/22 è oggetto del commento critico di C. Farella, Adesione non perfezionata: rilevanza giuridica e tutela del contribuente nel quadro di una riforma necessaria, in Riv. trim. dir. trib., n. 2/2023, p. 489 ss.
[5] Nella Circ. n. 38/E/2015, p. 58 si afferma, condivisibilmente, che «l’intervenuto accordo ha efficacia novativa del precedente rapporto, con la conseguenza che il mancato pagamento delle somme dovute dal contribuente conduce alla iscrizione a ruolo del nuovo credito derivante dall’accordo stesso».
[6] Cass. 13750/2013; Cass. n. 32218/2018; Cass. n. 29183/2019; Circ. 1/E/2013, par. 2.5