Documento del centro studi Deotto & Lovecchio
L’art.6, comma 6, del D.Lgs n. 471/1997 testualmente dispone “Chi computa illegittimamente in detrazione l’imposta assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa, è punito con la sanzione amministrativa pari al 90% dell’ammontare della detrazione compiuta. In caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi dell’art. 19 e seguenti DPR 633/72 , l’anzidetto cessionario o committente è punito con la sanzione amministrativa compresa tra 250 euro e 10.000,00 euro. La restituzione dell’imposta è escussa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale.”.
Di recente la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 10439/2021 ha, nonostante l’ampia portata letterale della norma (fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi dell’art. 19 e seguenti DPR 633/72), circoscritto il diritto della detrazione al solo ammontare dell’imposta indicata in fattura, secondo un’accezione comunitaria di iva dovuta corrispondente al caso di rigorosa corretta applicazione della normativa in materia di iva, per cui sia nel caso dia aliquota iva applicata in misura superiore a quella di legge e sia nel caso di operazione esente o non imponibile erroneamente assoggettata ad iva, l’iva indebitamente esposta in fattura non consente al destinatario della fattura l’esercizio di alcun diritto di detrazione ( in tal senso si è pronunciata anche l’Amministrazione Fin. con la risoluzione 3 agosto 2021, n° 53). Si rende inoltre erogabile, salvo il solo caso di esposizione in fattura di aliquota iva superiore alla misura di legge, la sanzione proporzionale ordinaria del 90% sull’indebito diritto di detrazione iva fruito.
L’ assunta esclusione dalla comminatoria dell’indicata sanzione in misura fissa (da euro 250 ad euro 10.000) anche nel caso di errata qualificazione fiscale dell’operazione (operazione ritenuta imponibile in luogo di un’operazione esente o non imponibile), oltre, per la Corte di Cassazione, alla preclusione del diritto alla detrazione, ripristina, nella sostanza, un livello di responsabilità del cessionario/committente che si riteneva ormai definitivamente superato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, In altri termini, a livello della superiore giurisprudenza nazionale, non si rendeva prospettabile tra i compiti del cessionario/committente uno scrutinio critico in ordine al corretto regime fiscale riservato in fattura dal cedente/prestatore all’operazione commerciale intercorsa, con il solo limite dell’operazione non soggetta ad iva per mancanza di uno dei presupposti (ad esempio il presupposto oggettivo) alla base delle dinamiche impositive dell’iva (si cfr Cass. SEZ V, sent. 12 febbraio 2014, n. 3104, Cass. SEZ. V , 21 luglio 2015, b. 15303)
Tale enunciato giurisprudenziale aveva ricevuto l’adesione della letteratura tributaristica dal momento che non appariva in alcun modo sensato imputare al destinatario della fattura una sorta di accertamento privato in rettifica dell’inquadramento fiscale dell’operazione come operato dall’emittente. Tale conclusione (che limitava l’interdizione del diritto della detrazione alle sole fatture emesse a fronte delle operazioni non soggette ad iva, senza l’estensione di alcuna forma di penalizzazione in ordine alle operazioni esenti o non imponibili) si ricongiungeva, peraltro, con piena coerenza di sistema agli artt. 19 (Detrazione) e 21 (fatturazione delle operazioni) dell’Iva (1)
Ai sensi dell’art. 19, 1° comma, “……è detraibile dall’imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione”.
Il dato normativo, come appare chiaro dalla scansione letterale del testo, assume alla base del diritto della detrazione una struttura concettuale di tipo ternario, a cui si raccordano diverse dinamiche procedurali per la liquidazione dell’iva:
-L’iva assolta dal soggetto passivo si raccorda infatti con i meccanismi doganali previsti per la liquidazione ed il versamento dell’iva in ordine alle importazioni extra UE;
-L’iva dovuta dal soggetto passivo va invece connessa a tutte le fattispecie che, attraverso la previsione dell’autofatturazione, incentrano sullo stesso cessionario/committente la diretta condizione soggettiva di debitore dell’imposta nei confronti dell’Erario:
-L’iva addebitata a titolo di rivalsa in fattura dall’emittente della medesima, va infine correlata al normale rapporto di fatturazione tra il fornitore ed il cliente.
Sul piano documentale l’iva assolta viene liquidata nella bolla d’importazione, mente nelle altre due fattispecie è la fattura a costituire il supporto cartolare deputato alla rappresentazione dell’iva.
E’, quindi, indispensabile, in ordine all’iva dovuta o addebitata l’inquadramento qualificatorio della fattura ai fini dell’iva. A tal proposito sul piano specificamente tributario provvede l’art. 21 (2), che sin dal suo testo storico, come noto, più che procedere ad una catalogazione dogmatica della fattura, attraverso una descrizione qualificatoria della medesima, chiarisce quando un documento può fiscalmente connotarsi come fattura e costituire il volano documentale delle varie dinamiche contabili e liquidatorie dell’iva.
Ai sensi dell’art 21 un documento si cataloga come fattura in base al tipo di operazione fiscale in esso rappresentata (art, 21, commi 1°, 6° e 6bis) e in base al contenuto descrittivo della medesima operazione (art. 21, comma 2°).
L’art. 21, 1° comma, invece di procedere con l’ordinario criterio di una definizione generale testualmente precisa che: “Per ciascuna operazione imponibile il soggetto che effettua la cessione del bene o la prestazione di servizi emette fattura anche sotto forma di nota, conto, parcella e simili….”. L’art. 21, 6° comma allarga l’obbligo di emettere la fattura anche in ordine ad altre tipologie di operazioni (cessioni relative a beni in transito, o depositati in luoghi soggetto a vigilanza doganale, operazioni non imponibili di cui agli artt. 8, 8bis, 9, e 38 quater, operazioni esenti di cui all’art.10, operazioni soggette al regime del margine, operazioni effettuate dalle agenzie di viaggio e turismo) ed identicamente procede l’art. 21 comma 6bis.
Un documento, quindi, si cataloga come fattura se l’operazione in esso descritta risponde alle predette prerogative fiscali (enunciate nei commi 1, 6 e 6bis dell’art. 21) mentre è del tutto irrilevante la struttura grafica che il medesimo documento viene ad assumere, potendo la fattura essere emessa anche sotto forma di nota, conto, parcella e simili.
Un documento, quindi, che descrivesse un’operazione non soggetta ad imposta per mancanza, ad esempio, del presupposto oggettivo, non può qualificarsi come fattura, proprio per il fondamentale motivo che tale operazione non partecipa del novero delle operazioni a cui il legislatore abbina il ruolo qualificatorio della fattura. L’immediata conseguenza è che l’iva addebitata in tale documento, non rappresentandosi come “Iva addebitata a titolo di rivalsa in fattura” , non consente il diritto di detrazione da parte del suo destinatario. Ma con tale verifica e preclusione veniva ritenuta esaurita la competenza valutativa del cessionario/committente in ordine al corretto inquadramento fiscale dell’operazione, dal momento che nel diverso caso di una fattura cartolarmente indicativa di un’operazione imponibile, in luogo del suo regime di esenzione o di non imponibilità, il diritto alla detrazione dell’ iva enunciata non poteva ritenersi negato al destinatario della medesima, dal momento che in tale caso l’iva esposta si uniformava comunque al paradigma dell’ “Iva addebitata a titolo di rivalsa in fattura”. Il documento emesso, infatti, assume in tal caso, indipendentemente dall’errato regime fiscale rappresentato, la catalogazione legislativa di “fattura emessa”. In caso contrario l’obbligato in rivalsa (il destinatario della fattura) si sarebbe trasformato in un collaboratore del Fisco, con supplenza in funzioni di esclusiva pertinenza dell’Amministrazione fin., investito di una sorta di accertamento privato inibito dalla citata giurisprudenza nazionale.
Ora, il rappresentato mutamento del quadro giurisprudenziale avrebbe perlomeno reso necessario da parte del Giudice di Cassazione esporre un preciso sostrato argomentativo al mutato parere, senza l’esclusivo riparo rappresentato dall’interpretazione comunitariamente orientata di imposta dovuta, data l’impossibilità di pretendere dal destinatario della fattura emessa, si continua a ritenere, funzioni suppletive di accertamento di esclusiva spettanza dell’Autorità fiscale. Nulla in questo senso è stato, però, dato rinvenire nelle sentenze che a partire dalla sentenza 3 novembre 2020, n. 24289 hanno iniziato a ridurre la portata applicativa dell’art 6, comma 6° del D.Lgs 471/1997.
Ora, se pure è indiscutibilmente vero che comunitariamente per imposta dovuta si deve intendere l’iva corrispondente al pieno assetto legale dell’imposta, proprio in ordine ad un’errata emissione di fatture assoggettate ad iva in luogo dell’applicazione del regime di esenzione, il Giudice Europeo con sentenza 18 marzo 2021 Causa C-48/20 (UAB), ha sottolineato che è riservato agli Stati membri la potestà di adottare le necessarie misure idonee ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare le frodi fiscali. In ogni caso i relativi provvedimenti non devono eccedere quanto necessario per raggiungere gli obbiettivi e non possono, quindi, essere utilizzati per mettere in discussione il principio della neutralità dell’iva, costituendo il medesimo un principio fondamentale del sistema comune dell’iva istituito dal diritto dell’Unione.
Sempre la Corte Ue ha, a più riprese, sottolineato che: “In mancanza di una disciplina dell’Unione, in materia spetta all’ordinamento interno di ciascun Stato membro, stabilire le modalità procedurali intese a garantire la tutela dei diritti riconosciuti ai soggetti dell’ordinamento dal diritto dell’Unione, Causa C-564/15)”.
Ora, considerando che sempre la Corte Ue ha anche giustificato che l’interpretazione del legittimo diritto della detrazione, condizionato dalla piena rispondenza dell’operazione al relativo regime fiscale, è essenzialmente funzionale a prevenire meglio le frodi fiscali che sarebbero altrimenti agevolate qualora ogni imposta fatturata potesse essere detratta (dando in tal modo prova di relegare la rigidità del concetto di “imposta dovuta” ai contesti criminosi e di pregiudizio del diritto erariale), a parere di chi scrive, appare conciliabile con quanto previsto in materia comunitaria che, fuori dai contesti fraudolenti, l’iva addebitata a titolo di legittimo esercizio della rivalsa rappresentata in una regolare fattura emessa (nel senso sopra esposto) possa essere ricondotta al novero delle potestà regolamentari rimesse ad ogni Stato membro per assicurare le corrette dinamiche impositive e liquidatorie dell’iva. Soprattutto se, a tal proposito, si considera sia l’indicato chiaro intendimento espresso dal Giudice nazionale, in ordine all’impossibilità di trasformare il destinatario di una fattura in un agente supplettivo del Fisco e sia il fondamentale obiettivo unionale di agevolare l’effettività del principio della neutralità dell’iva.
Conclusivamente, l’enunciato normativo di cui all’art. 6, comma 6, del D.Lgs n. 471/1997 ed il mantenimento in esso previsto del diritto del cessionario o committente alla detrazione dell’iva ai sensi dell’art. 19 e seguenti DPR 633/72 , al di fuori di contesti di frode fiscale, appare interagire a sistema con quanto rappresentato nel primo comma del commentato art. 19, 1° comma, Dpr 633/72 e con quanto prescritto comunitariamente, dal momento che, a fronte della rigidità di significato di “imposta dovuta”, il diritto dell’Unione demanda ai soli Stati membri la personale previsione di sistemi procedurali e provvedimentali per assicurare l’esazione dell’iva al riparo da contesti fraudolenti.
In caso di mancato accoglimento dell’interpretazione sopra proposta si urterebbe frontalmente con l’irrazionalità dell’investitura di agente suppletivo di chiare funzioni impositive, incentrata sul destinatario della fattura. tenuto ad un accertamento privato del rapporto d’imposta per conto dell’Amministrazione finanziaria, preclusa a dalla citata giurisprudenza di Cassazione ad oggi perlomeno esplicitamente non smentita.
L’AIDC, con la recente norma di comportamento n. 214 del 28 luglio 2021, è giunta alla medesima conclusione, dal momento che essa assume come legittima la detrazione dell’iva, se regolarmente assolta dal cedente o prestatore, in ogni caso di errata applicazione dell’iva, ritenendo il mantenimento di tale diritto di detrazione, come previsto nell’art 6, comma 6, D.Lgs 471/97, del tutto conforme alla normativa euro-unionale alla luce dei principi della neutralità, effettività e non discriminazione.
A parere di chi scrive residuano ancora, quindi, argomenti per avversare la tesi restrittiva della Corte di Cassazione, alla quale andrebbe in particolare chiesto di conciliare il convinto intendimento espresso in ordine all’impossibilità di ritenere investito il destinatario della fattura di funzioni impositive private suppletive di quelle istituzionali, con il rigido ed acritico significato comunitario di “imposta dovuta”, da Essa ultimamente privilegiato, anche se recepito senza il raccordo con il diritto dell’Unione che assegna ai singoli Stati membri l’adozione delle misure e provvedimenti per perseguire l’obiettivo di assicurare l’agevole riscossione dell’iva al riparo da piani fraudolenti.
- In tal senso si cfr Paolo Centore, “Detrazione dell’iva non dovuta: Una scelta di serietà” in Corr. Trib. n° 30/2018,”.
- Sul piano del diritto generale alla fattura viene attribuita la funzione di prova di un rapporto giuridico bilaterale già definito e preesistente ((Panuccio, “Fattura” in Enc.dir. Milano, 1967, D. Avanzo (“Fattura” in Nuovissimo Dig. Italiano, Torino 1961).
Dott. Luciano Sorgato