A cura del Centro Studi Deotto Lovecchio & Partners
In ordine ad eventuali ipotesi elusive rappresentate dall’Amministrazione Finanziaria nei vari interpelli recentemente pubblicati, derivabili dall’affrancamento delle partecipazioni con l’imposta sostitutiva, si ritiene preliminarmente di dovere sottolineare come la speciale natura del regime fiscale di tassazione sostitutiva dell’ordinario capital gain, non appaia rispondere ad alcun “regime fiscale agevolativo”, ma solo ad una mera opzione liberamente proposta dal legislatore. Perché si possa infatti parlare di agevolazione fiscale essa si deve connettere causalmente ad uno scopo che si interseca con variabili sociali rispondenti ad interessi generali dello Stato e a sue funzioni istituzionali. In dottrina (A. Pace, “Le agevolazioni fiscali” G. Giappichelli Editore- Torino) si sottolinea come un’agevolazione fiscale si debba, per prestare aderenza ai paradigmi costituzionali che presiedono l’obbligazione tributaria, raccordarsi con forme compensative di utilità sociali (come incrementi occupazionali, manifestazioni di solidarietà, salvaguardia di un patrimonio storico-culturale). In tal caso il minor carico impositivo trova concreta giustificazione nel diretto ausilio del privato a funzioni istituzionali dello Stato e a interessi generali della Comunità sociale.
Nel caso in esame si è di fronte ad un mero prelievo anticipato rispetto all’insorgenza del relativo presupposto d’imposta, ordinariamente incapsulato nelle vicende circolatorie delle partecipazioni. A tale proposito appare di indubbia condivisione l’individuazione della relativa ratio legis (come già prospettata in dottrina: – A. Malguzzi, D. Stevanato, R.Lupi, “Partecipazioni affrancate e redditi di capitale tra refusi normativi e preoccupazioni antielusive”, in Dialoghi Tributari n.° 2/2009) nel c.d. “prestito fiscale”. L’intento legislativo non è la ricerca di forme di ausilio del privato nel perseguimento di funzioni statali, ma solo un ausilio di finanza senza il raccordo causale con una qualche fattispecie imponibile, e, quindi, senza la copertura costituzionale di una qualche manifestazione di capacità contributiva.
Nel caso in esame l’affrancamento del valore delle partecipazioni societarie risponde solo alla logica delle c.d. “Imposte volontarie”, il cui fondamento causale è unicamente rinvenibile nello scambio tra un’imposta oggi a fronte di maggiori valori fiscalmente spendibili domani, del tutto mancante delle prerogative costituzionali dell’agevolazione fiscale. La considerazione del regime fiscale sostitutivo previsto per la rivalutazione alla stregua di un’agevolazione fiscale, da cui potrebbero derivare poteri di sindacato elusivo da parte della Finanza, è solo la sintesi di una serie di scrutini di mera superficie, che trascurano che la “meritevolezza”, nel caso in esame, risiede già in re ipsa nel prestito erariale alla Finanza pubblica, e non nel perseguimento di fini extrafiscali ausiliari di specifici interessi generali.
Per la stessa Corte di Cassazione, testualmente, “l’imposta sostitutiva sulla rivalutazione è un’imposta volontaria che trova causa necessaria e sufficiente in sé stessa, ossia nella scelta liberamente operata dal contribuente di accedere all’opzione proposta dal legislatore, nella prospettiva, in caso di futura cessione, di un risparmio sull’imposta ordinaria altrimenti probabilmente dovuta sulla plusvalenza non affrancata. Conseguentemente è irrilevante, ai fini del perfezionamento del meccanismo agevolativo, la circostanza che il contribuente tragga concretamente vantaggio dalla propria scelta, in quanto la cessione potrebbe addirittura mancare, senza perciò consentire di richiedere il rimborso di quanto versato (CASS. SEZ. UNITE, sentenza n. 2322 del 31 gennaio 2020). “.
La citata sentenza del Giudice di Cassazione inquadra in una corretta concezione dogmatica il prelievo fiscale sostitutivo, annoverandolo nella categoria delle imposte volontarie (prestiti fiscali) , sprovviste, quindi, di un qualsiasi attuale cordone ombelicale con un presupposto d’imposta e, quindi, con una concreta attuale manifestazione di capacità contributiva, anche se non appare condivisibile, per i motivi sopra esposti, il riferimento testuale ad un “meccanismo agevolativo”, che peraltro il Giudice Supremo rappresenta in modo palesemente contraddittorio, dal momento che nel medesimo passo di sentenza riportato riferisce poco prima ad una prospettiva di solo probabile vantaggio fiscale, che potrebbe persino non avverarsi.
Si ribadisce la convinzione giuridica ed anche la necessità, costituzionalmente orientata, che non si possa parlare di un’agevolazione fiscale, dal momento che essa difetterebbe di quel raccordo compensativo con il perseguimento di altri interessi generali costituzionalmente preordinati, indispensabile per la legittimità di una qualsiasi agevolazione fiscale.
Del resto, sintomatica in tal senso, è anche la marcata componente di forfetizzazione insita nel regime fiscale di imposta sostitutiva previsto per l’affrancamento delle partecipazioni, avendo esso ad oggetto l’intero valore delle partecipazioni, e non la differenza tra il valore di perizia e il costo fiscalmente riconosciuto delle quote, ossia il solo incremento di valore, Tale peculiarità di base imponibile opera secondo una logica fiscale “patrimoniale”, invece che “reddituale”, che non consente alcun confronto tra i due diversi pesi fiscali (quello sostitutivo e quello ordinario): . A tal proposito appare condivisibile quanto in dottrina ((Valentina Perrone, Raffaello Lupi:-“Rivalutazione delle partecipazioni: Quali elusioni su una “imposta volontaria” (in Dialoghi Tributari, n. 6/2013) è stato testualmente argomentato:-“La razionalità complessiva di un istituto normativo va valutata in astratto ad anteriori e non sulla convenienza concreta manifestatasi a posteriori del singolo caso. A In altri termini l’aliquota a prima vista conveniente va bilanciata con la maggiore base imponibile e con l’anticipazione del prelievo sostitutivo, ossia con una tempistica del tutto anomala rispetto all’insorgere del presupposto impositivo , e tale intersezione di variabili corrisponde ad un paradigma legislativo strutturato e calcolato ad anteriori e quindi per astratto, legislativamente pensato per intercettare ogni tentativo di confrontarlo con le singole risultanze concrete a posteriori, caso per caso. È plausibile, infatti, che qualcuno possa massimizzare i vantaggi connessi a tale regime fiscale, mentre altri possono conseguire vantaggi minori, ma complessivamente questo regime va ritenuto dotato di una sua razionalità in termini di sistema.”.
Il “prestito d’imposta” in esame, al pari di altre imposte volontarie, come le rivalutazioni dei beni d’impresa o il regime di imposizione sostitutiva originariamente previsto per le riorganizzazioni aziendali, si inquadra senza vizi logici nelle scelte discrezionali del legislatore, che fermo il solo scrutinio connesso all’irragionevolezza delle medesime, non si assoggettano ad alcun giudizio di censura costituzionale, per cui non appare corretto coinvolgere nello scrutinio esegetico, né finalità agevolative di cui il contribuente debba essere in qualche modo considerato meritevole, né fantomatiche ragioni economiche a supporto della mancanza di intenti elusivi, in quanto l’assenza di limiti e condizioni legislative e la trasparente ratio sottesa ad un’imposta volontaria e al paradigma del prestito fiscale, consente di ritenere che ogni qualvolta la fattispecie imponibile è riconducibile allo schema impositivo dei redditi diversi ex art. 67 TUIR, il soggetto che ha rivalutato possa legittimamente riappropriarsi del prestito, dal momento che “lo scopo di sistema” perseguito dal Legislatore risiede unicamente nella permuta di un sussidio finanziario scambiato con un maggiori valore fiscalmente spendibile delle quote, sfruttabile ogniqualvolta lo schema impositivo si uniformi alla categoria dei redditi diversi. Dal dato legislativo (art. 5 della legge 448/2001:-“Agli effetti della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze di cui all’art 67, comma 1, lett. c) e c bis) Tuir, per i titoli, le quote o i diritti non negoziati nei mercati regolamentati può essere assunto, in luogo del costo o valore di acquisto, il valore a tale data della frazione del patrimonio netto della società, associazione o ente, determinato sulla base di una perizia giurata di stima….a condizione che il predetto valore sia assoggettato ad un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi…”) emerge chiaramente che non viene perseguito alcun scopo di consolidamento delle compagini sociali, di più robuste e sinergiche aggregazioni di soci, di potenziamento strutturale dell’impresa e della sua competitività sul mercato internazionale, ma solo un semplice scambio di immediata disponibilità erariale con l’affrancamento di plusvalenze non ancora realizzate, ma solo maturate. Se il legislatore avesse inteso perseguire obiettivi di rafforzamento strutturale delle società, con il consolidamento della compagine sociale di comando o con il suo allargamento, avrebbe di certo fatto ricorso ai governi legislativi già usati nell’art 177 TUIR, ma così non ha mai provveduto e nonostante la costante reiterazione del provvedimento sulla rivalutazione delle partecipazioni.
Nel complessivo senso sopra esposto si è pronunciato il Giudice di Padova (sentenza n. 133/06/2016) per il quale testualmente :-“le circostanze descritte dall’Ufficio per contestare l’operato del ricorrente non sono condivisibili, in quanto la rivalutazione fiscale delle partecipazioni con pagamento di un’imposta sostitutiva non solo è legittima ma nemmeno si può teorizzare che sia avvenuta ai fini elusivi, in quanto un vantaggio fiscale espressamente previsto dall’ordinamento non può finire con l’essere ritenuto indebito perché il contribuente decide di beneficiarne…”
L’Amministrazione Finanziaria, per contro, in più occasioni ha ritenuto sindacabili, attraverso l’istituto dell’abuso del diritto, le varie operazioni di cessione delle partecipazioni sociali rivalutate, avversando la fruizione della rivalutazione ogniqualvolta la scansione sequenziale delle operazioni non prospetti valida sostanza economica o, a suo dire, non si conformi agli ordinari schemi di mercato, e sempre che il contribuente non rappresenti a sua volta le valide ragioni extrafiscali idonee a confermare comunque l’impianto strutturale della complessiva operazione. Tuttavia, si ribadisce la non correttezza di tali affermazioni in quanto, in presenza di operazioni perfettamente valide ed efficaci, l’Agenzia non può sostituire una forma giuridica (o più forme) con un’altra (o con altre), soltanto perché quella utilizzata dal contribuente risulta fiscalmente meno onerosa. E nemmeno tale sostituzione può essere operata effettuando un giudizio di conformità rispetto alle normali logiche di mercato. La valutazione delle logiche di mercato non può che spettare all’imprenditore. Non è affatto compito dell’Agenzia (né poi dei giudici) effettuare delle valutazioni economiche in relazione alle scelte dei contribuenti.
L’Agenzia deve soltanto verificare (nell’elusione) se attraverso le operazioni poste in essere il contribuente ha conseguito un vantaggio fiscale illegittimo, tenendo conto che il contribuente può perseguire i suoi obiettivi economici attraverso più forme giuridiche. Ma gli obiettivi economici, le logiche di mercato, non possono – lo si ripete – essere sindacati dal Fisco: l’effetto economico dei negozi giuridici riguarda soltanto l’economia. Così come il Fisco non può individuare degli effetti economici ulteriori rispetto a quelli giuridici. Questo perché in materia tributaria non si rinviene alcuna previsione normativa che stabilisca – come principio generale – la rilevanza fiscale degli effetti economici dei negozi giuridici o, comunque, una sorta di supremazia della rilevanza economica sull’assetto del rapporto giuridico. Questo tranne quando la rilevanza economica dei contratti o delle operazioni viene espressamente disciplinata dalla legge.
Chiaramente, il Fisco può intervenire per rettificare le forme giuridiche utilizzate in presenza di vicende simulatorie/dissimulatorie, dove si è in presenza di un’asimmetria tra la situazione formale e quella reale, ma qui si è nel “mondo” dell’evasione.
Nell’abuso del diritto non c’è, invece, alcuna manipolazione della realtà: vi è perfetta coincidenza tra ciò che le parti dichiarano di volere e ciò che realmente vogliono: è soltanto il vantaggio fiscale conseguito che risulta indebito.