Le diverse nozioni di impresa, di cui agli artt. 2082 c.c. e art. 55 TUIR, comportano che anche l’attività svolta da un privato, in presenza di determinati requisiti, possa essere qualificata, ai fini fiscali, come attività d’impresa. La giurisprudenza della Cassazione e la prassi dell’Agenzia delle Entrate sono sostanzialmente allineate, e concordi nel ritenere che la “forma giuridica” dell’imprenditore sia un elemento neutro ai fini di tale verifica.
Quando si configura attività d’impresa per un soggetto privato? Diversità interpretativa tra il Codice Civile e il Testo Unico delle Imposte sui Redditi
Con riferimento alla qualificazione del soggetto come imprenditore, va preliminarmente rilevato che la legislazione fiscale e quella civilistica non sono coincidenti: l’art. 2082 c.c. considera imprenditore chi svolge un’attività economica organizzata in modo professionale, mentre l’art. 55 del D.P.R. n. 917/86 (TUIR) non richiede il requisito dell’organizzazione, bensì l’esercizio per professione abituale delle attività di cui all’art. 2195 c.c., anche se non in modo esclusivo.
Anche la Cassazione afferma che «la nozione civilistica e quella tributaristica di imprenditore commerciale divergono per un aspetto essenziale, ossia quello della necessità dell’organizzazione, non indispensabile per quello tributario, ai fini del quale è sufficiente la professione abituale dell’attività economica, anche senza l’esclusività della stessa»[1].
Elemento discriminante è dunque la necessità dell’“organizzazione”, essendo tale requisito indispensabile per il diritto civile ma non altrettanto per quello tributario, ai fini del quale è sufficiente la “professionalità abituale” dell’attività economica, anche senza l’esclusività della stessa[2].
Diversamente dall’art. 2082 c.c., nel quale il requisito organizzativo costituisce elemento qualificante e imprescindibile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti civilistici, nell’art. 55 del T.U.I.R. il riferimento è all’esercizio per professione abituale delle attività indicate dall’art. 2195 c.c., anche se non organizzate in forma d’impresa, purché l’attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità abituale ancorché non esclusiva[3]. La sussistenza dell’organizzazione, ai sensi del secondo comma dell’art. 55 del TUIR, è invece necessaria per le attività dirette alla prestazione di servizi diverse da quelle di cui all’art. 2195 c.c.
Con riguardo all’IVA, il D.P.R. n. 633 del 1972, all’art. 4, comma 1 – così come l’analogo art. 55, comma 1, del T.U.I.R. –, include nel presupposto soggettivo «l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva», delle attività indicate dall’art. 2195 c.c., anche se non organizzate in forma di impresa, così prescindendo dal requisito organizzativo.
Il carattere oggettivo della nozione recata dai citati articoli 55 del Tuir e 4 del DPR Iva comporta che, per configurare l’esercizio di impresa, non risulta necessario il fine di lucro, ossia il fine di conseguire un utile da tale esercizio, ma è sufficiente che l’attività sia svolta secondo criteri di economicità, ovvero con un almeno tendenziale pareggio tra costi e ricavi.
Mentre le società di persone commerciali (art. 6 TUIR e art. 4 DPR Iva) e per le società di capitali (art. 73 TUIR e art. 4 DPR Iva) l’esercizio dell’attività di impresa è presunto in via assoluta, per le persone fisiche è necessaria una specifica indagine per appurare se, in concreto, l’attività possa rientrare in tale categoria di reddito.
Occorre quindi riscontrare se il contribuente ponga in essere «con regolarità, sistematicità e ripetitività una pluralità di atti economici coordinati e finalizzati al conseguimento di uno scopo»[4], perché si configura attività d’impresa qualora lo svolgimento dell’attività si caratterizzi per stabilità e ripetitività delle azioni, anche solo tendenziale e prospettica, nel tempo.
Comprendere, dunque, quando si configura tale attività è utile soprattutto nei casi, sempre più frequenti, di costruzione e successiva vendita di immobile da parte del contribuente. Inoltre, un’attività di impresa potrebbe emergere qualora il privato si determini a cedere un immobile ristrutturato dopo essersi avvalso delle numerose possibilità (superbonus, ma non solo) che il legislatore ha offerto, negli ultimi anni, per il recupero del patrimonio edilizio.
Occorre, in aggiunta, considerare che il riconoscimento della qualità di imprenditore non può essere impedito dal compimento di un unico affare, se esso è di non trascurabile rilevanza economica ed implica lo svolgimento di un’attività che abbia richiesto una pluralità di operazioni[5]. Infatti, gli elementi di abitualità, sistematicità e continuità dell’attività economica – quali indicatori di professionalità, che comportano l’acquisizione della qualifica di imprenditore – devono essere intesi in senso relativo, non assoluto: un’attività che si protrae nel tempo per una durata apprezzabile, anche se finalizzata al compimento di un’unica operazione speculativa, può, almeno sul piano astratto, risultare un’attività imprenditoriale.
Occorre poi considerare che, secondo la Corte di Giustizia, per “impresa” si intende «qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta questa entità e delle sue modalità di finanziamento»[6]. Pertanto, non rileva né la forma giuridica né il tipo di attività svolta, né l’organizzazione interna o le finalità perseguite dal soggetto: a rilevare è soltanto l’attività economica realizzata, la quale permette di «caratterizzare la nozione in senso funzionale e quindi dare uno spettro applicativo assai più esteso alla disciplina comunitaria»[7]. Altre pronunce specificano che, nella nozione di attività economica, si rintraccia «qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi in un determinato mercato»[8].
Recenti pronunce giurisprudenziali in tema di configurazione di attività d’impresa per un privato che commercializza beni immobili e posizione delle Entrate
Capita di frequente, nel settore immobiliare, che un soggetto privato (non imprenditore), proprietario di un suolo edificabile, ponga in essere una vera e propria operazione speculativa, edificando sull’area uno o più fabbricati e ponendo in vendita (o in locazione)[9] una o più unità immobiliari realizzate. Simile è anche il caso in cui, una persona fisica, proprietaria di un fabbricato, esegua sullo stesso opere di risanamento e /o ampliamento, tese a frazionare il fabbricato originario in più unità abitative, da destinare a successiva cessione al termine dei lavori.
Al fine di far luce sulla presenza o meno, in situazione come quelle appena descritte, di attività d’impresa, è intervenuta recentemente la sentenza n. 36992 depositata il 16/12/2022 della Sezione tributaria della Corte di Cassazione. Tale pronuncia chiarisce che si è in presenza di un’attività d’impresa, rilevante a fini fiscali, in tutti i casi in cui il contribuente acquisti un edificio dalla cui ristrutturazione ricavi un numero, superiore a quello originario, di unità immobiliari destinate ad essere singolarmente vendute a terzi estranei all’ambito familiare.
Il caso oggetto del giudizio di legittimità era una sentenza di secondo grado che respingeva il ricorso del contribuente avverso avviso di accertamento Ires, Irap e Iva fondato sulla contestazione dell’Ufficio di aver operato nel settore immobiliare, commercializzando immobili al di fuori dell’ambito familiare e ottenendo così risultati economici coerenti con l’attività d’impresa.
A nulla è valsa la tesi difensiva del contribuente, che richiamava i dettami del Codice civile che, come poc’anzi riportato, stabiliscono che un’attività, per essere considerata commerciale, deve essere svolta e organizzata in modo professionale: per la Suprema Corte, anche se il soggetto privato compie un singolo affare, che tuttavia richiede lo svolgimento di una pluralità di operazioni e comprende un ammontare di denaro non trascurabile, egli deve essere de plano qualificato come imprenditore.
Anche l’Agenzia delle Entrate ha espresso nel tempo pareri affini a tale impostazione.
Ha fatto scuola la Risoluzione n. 204/E/2002, incentrata sul caso di un contribuente che aveva posto in essere un’operazione di risanamento conservativo e suddivisione di un immobile, con la realizzazione di 49 box, successivamente venduti. In tale documento si chiariva che «requisito imprescindibile affinché possa configurarsi impresa commerciale agli effetti delle imposte sui redditi è che l’attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità abituale, ancorché non esclusiva». L’attività del contribuente istante è stata dunque qualificata come “imprenditoriale”, avendo egli realizzato un complesso immobiliare composto da 49 box, destinato non al proprio uso o a quello della propria famiglia, bensì alla vendita a terzi, avvalendosi di un’organizzazione produttiva idonea e svolgendo un’attività protrattasi nel tempo.
La stessa linea interpretativa è stata fatta propria dalla più recente risposta ad interpello del 24/10/2019 n. 426, in cui si trattava il caso di realizzazione, a seguito dei lavori di demolizione e ricostruzione di un edificio, di 5 appartamenti, 8 garage e 3 posti d’auto. Anche in questo caso, l’Agenzia è pervenuta alle stesse conclusioni di ritenere si fosse sostanziata un’attività d’impresa, fiscalmente rilevante[10].
In conclusione, l’Agenzia qualifica sempre come imprenditoriali le attività svolte in forma organizzata, dove si ravvisa l’intento speculativo del contribuente e non il mero godimento per sé o per la propria famiglia.
I casi esaminati sono accomunati da un evidente intento speculativo da parte del contribuente sin dall’origine dell’operazione, ciò comportando l’inclusione dell’iniziativa nell’ambito del reddito d’impresa, senza che il fatto di aver realizzato tale attività solo in quella determinata occasione possa consentirgli di applicare la disciplina dei redditi diversi immobiliari.
A fini valutativi, dunque, ogni qual volta risulti manifesto che l’intervento sia esclusivamente a scopo di lucro fin dall’origine dell’operazione sull’immobile, quell’attività implica la qualificazione nel reddito d’impresa.
Conclusioni.
In linea di principio, nell’ipotesi in cui vengano realizzate rilevanti opere edilizie, l’attività effettuata dal contribuente deve considerarsi imprenditoriale laddove tali interventi siano finalizzati non ad un (migliore) uso dell’immobile, per sé o per la propria famiglia, bensì risultino funzionali alla successiva vendita a terzi o comunque al suo sfruttamento con l’intento di ricavarne introiti.
Si tratta di un accertamento riservato al giudice di merito e da effettuare necessariamente caso per caso, che tuttavia può essere condotto in base ad alcuni parametri “indiziari”, quali la modalità di acquisto dell’immobile, l’entità e la natura delle opere svolte[11], l’eventuale attività di pubblicizzazione della vendita, e così via.
La pura e semplice rivendita, tuttavia, non dovrebbe costituire attività di impresa, nemmeno quale reddito diverso derivante da attività commerciale non esercitata abitualmente (art. 67 lett. i del TUIR)[12]. Si può, sul punto, riprendere quanto affermato da una recente sentenza della Cassazione in merito alla vendita di arredi dell’abitazione appartenenti al patrimonio personale del contribuente, la n. 10117 del 10 aprile 2023. In tale sede, si è affermato che l’attività non si poteva considerare alla stregua di intermediazione nella circolazione dei beni (rilevante ex art. 2195 c.c. e quindi, anche senza accertare la sussistenza di un’organizzazione, ex art. 55 del TUIR), perché l’Agenzia delle Entrate «non ha dimostrato che si trattasse di mobili acquistati al fine di essere rivenduti, mancando nella specie la prova di quell’intento speculativo che caratterizza l’attività commerciale di vendita, sia pure realizzata in modo occasionale».
a cura di Cristina Rigato e Giorgia Sarragioto
per il Centro Studi Deotto Lovecchio & Partners
HAI BISOGNO DI UNA CONSULENZA O APPROFONDIMENTO IN AMBITO TRIBUTARIO? CONTATTACI >>
[1] Cass. Sez. VI-V, ordinanza del 6 aprile 2017, n. 8982.
[2] In giurisprudenza v. anche Cass. Sez. V, sent. n. 19237 del 07/11/2012; Sez. V, sent. n. 25777 del 05/12/2014; Sez. VI-V, ord. n. 8982 del 06/04/2017; Sez. V, ord. n. 15021 del 15/07/2020; Sez. V, sent. n. 36502 del 13/12/2022).
[3] Cass. 20 dicembre 2006, n. 27211, Cass. 6853/2016.
[4] Così già la R.M. n. 550326 del 1988.
[5] Con specifico riguardo all’IVA, cfr. Cass. nn. 1987 del 1984; 3690 del 1986; Cass. n. 4407/1995; Cass. nn. 2021, 3406 e 4407 del 1996; 10430 del 2001; 9776 del 2003. Con riferimento alla costruzione di unità abitative si veda anche la più recente Cass. Sez. V, 8 giugno 2021, ord. n. 15931, nella cui motivazione si legge che «il compimento di un singolo affare può costituire impresa quando implichi il compimento di una serie coordinata di atti economici».
[6] CGCE 23 Aprile 1991, Klaus Haner e Fritz Elser c. Macroton GmbH, causa C-41/90, recentemente richiamata da Cass. Sez. V, 8 marzo 2023, ord. n. 6874.
[7] Così, da ultimo, Cass. n. 6874/23 cit.
[8] CGCE, 16 giugno 1987, C118/85, Commissione delle Comunità Europee contro Repubblica italiana.
[9] Nella sentenza 26 settembre 1996, causa C-230/94, Enkler, la Corte di Giustizia ha affermato che se, per sua natura, un bene può essere usato sia per scopi economici sia a fini privati, occorre esaminare l’insieme delle circostanze nelle quali l’interessato sfrutta il bene e raffrontarle eventualmente con quelle in cui viene di solito esercitata l’attività economica corrispondente. Essa ha aggiunto che criteri relativi ai risultati dell’attività considerata non possono, di per sé, costituire un criterio determinante ma che possono essere presi in considerazione la durata effettiva della locazione del bene, l’entità della clientela e l’importo degli introiti.
Ai fini IRPEF occorre anche considerare la disciplina delle locazioni brevi di cui all’art. 4, D.L. n. 50/2017 che, alla luce del disposto dell’art. 1, comma 595, L. n. 178/20, può essere svolta in modo non imprenditoriale (con facoltà di opzione per la cedolare secca, con aliquota del 21%) solo nel limite di quattro appartamenti: oltre tale limite quantitativo, rigido, si presume lo svolgimento dell’attività in forma imprenditoriale.
[10] In tal senso anche Risposta ad interpello n. 152 del 27/05/2020, in una fattispecie di il cambiamento di destinazione d’uso di un fabbricato, mediante la realizzazione di opere di ristrutturazione edilizia, funzionale alla successiva vendita.
[11] Non rileva, invece, il fatto che gli eventuali interventi di ristrutturazione vengano realizzati da imprese terze mediante l’affidamento in appalto dei lavori edilizi: il soggetto che utilizza e coordina il proprio capitale per fini produttivi assume comunque, come da consolidato orientamento giurisprudenziale, la qualifica di imprenditore.
[12] Il margine positivo sulla vendita è soggetto a imposizione, ai sensi della lett. b) dell’art. 67 TUIR, solamente ove si tratti di immobile detenuto da più di cinque anni, e sempre che per almeno metà del periodo di possesso non sia stato adibito ad abitazione principale del cedente.