Il documento analizza la fiscalità degli immobili d’impresa, con particolare riferimento alla possibilità, a determinate condizioni, di qualificare come strumentali gli immobili abitativi locati (cd. immobili “patrimonio”).

 

La qualificazione degli immobili e gli immobili “patrimonio”

In tema di disposizioni normative che regolano il reddito d’impresa di cui al Testo Unico delle Imposte sui Redditi, gli immobili vengono distinti in tre categorie:

  • immobili strumentali[1], che a loro volta possono essere strumentali “per natura” (classificati nelle categorie A/10, B, C, D ed E), ovvero che mantengono la strumentalità anche se non utilizzati o concessi in locazione o comodato, o “per destinazione” (utilizzati direttamente ed esclusivamente per l’attività d’impresa, a prescindere dalla categoria catastale di appartenenza), che concorrono alla formazione del reddito d’impresa in base alle risultanze contabili (deduzione dei costi, tassazione dei relativi proventi, scorporo del valore dell’area, etc.). Dunque, riassumendo, si definiscono immobili “strumentali” quegli immobili che hanno come unica destinazione quella di essere impiegati in via diretta nell’espletamento di attività tipicamente collegate di natura imprenditoriale, e che non sono pertanto idonei a produrre reddito autonomo rispetto a quello del complesso aziendale in cui sono inseriti;
  • immobili merce, costituenti oggetto dell’attività d’impresa, che concorrono alla formazione del reddito d’impresa quali rimanenze finali[2],
  • immobili non strumentali (o “patrimonio”), individuati per esclusione, poiché non rientranti nelle precedenti categorie indicate. Si tratta di immobili di natura abitativa (altrimenti rientrerebbero tra quelli strumentali per natura), non utilizzati direttamente per lo svolgimento dell’attività d’impresa, né oggetto proprio dell’attività d’impresa. Si tratta di una categoria residuale di beni immobili che normalmente costituiscono un investimento da parte delle società e che non sono utilizzati per lo svolgimento dell’attività d’impresa[3].

Tale differenziazione qualitativa non rappresenta una questione meramente formale.

Definire la strumentalità di un immobile, infatti, determina l’applicazione dell’art. 90 del TUIR ai fini del reddito d’impresa.

Infatti, per le prime due categorie (immobili strumentali – per natura o per destinazione – e immobili-merce) la determinazione del reddito d’impresa avviene tenendo conto di quanto imputato in contabilità, mentre per quelli definiti “immobili patrimonio” si deve far confluire nel reddito d’impresa il reddito “catastale” (maggiore tra il canone di locazione, eventualmente ridotto di un importo massimo del 15% in presenza di spese di manutenzione ordinaria effettivamente sostenute, e la rendita catastale rivalutata), previa variazione in aumento dei relativi costi e variazione in diminuzione dei proventi in Conto Economico.

La fiscalità degli immobili patrimonio locati

La disciplina fiscale degli immobili patrimonio è una deroga rispetto alle usuali regole a cui sono assoggettati gli immobili detenuti in regime d’impresa. Come già anticipato, infatti, per tale tipologia di immobili il Legislatore ha previsto una norma a sé stante, basata su criteri catastali in misura simile alle persone fisiche che agiscono in regime d’impresa.

In linea generale, i proventi derivanti dal possesso di immobili patrimonio sono imponibili nel rispetto di quanto prescritto dall’articolo 90 TUIR, ovvero concorrono alla formazione del reddito d’impresa nel rispetto delle regole proprie dei redditi fondiari e non sulla base dei costi e ricavi ad essi afferenti (come invece previsto per gli immobili strumentali e quelli merce). Per determinare correttamente il reddito derivante dal possesso di tali immobili, occorre tener conto che è previsto un trattamento fiscale differente a seconda che si tratti di immobili patrimonio tenuti a disposizione dell’impresa, ovvero concessi in locazione, che è il caso che qui ci occupa.

A norma dell’articolo 90, comma 1, TUIR[4], infatti, gli immobili patrimonio che vengono concessi in locazione a terzi concorrono a formare il reddito d’impresa per un importo pari al maggior valore tra: la rendita catastale rivalutata del 5%[5] e il canone di locazione pattuito in contratto, assunto per l’intero importo[6] ovvero eventualmente ridotto soltanto dell’importo delle spese di manutenzione ordinaria[7] effettivamente sostenute e rimaste a carico dell’impresa, considerate fino a corrispondenza di un tetto massimo di riduzione dei canoni di locazione pari al 15% dei medesimi[8].

A fronte della determinazione agevolata del provento immobiliare confluente nel reddito d’impresa, resta ferma l’indeducibilità delle spese e degli altri componenti negativi di reddito (ivi incluse le quote di ammortamento) sancita, per la generalità degli immobili patrimoniali, dall’articolo 90, comma 2, TUIR: le spese e gli altri componenti negativi di reddito afferenti gli immobili patrimoniali risultano, infatti, già “scontati” dal reddito fondiario e quindi considerati in sede di definizione delle tariffe d’estimo assunte a base per la determinazione della rendita catastale.

 

Apertura della Cassazione sugli immobili abitativi detenuti dalle Società immobiliari

Per quanto fin qui esposto, appare netta e ben definita la posizione dell’Amministrazione finanziaria circa gli immobili abitativi (o “patrimonio”) posseduti dalle Società immobiliari di gestione e concessi in locazione. Viene infatti escluso[9] il carattere di strumentalità da tali tipologie di immobili che «pur potendo essere in un certo senso strumentali rispetto alle finalità che il soggetto d’imposta persegue attraverso l’esercizio dell’impresa, costituiscono nel contempo l’oggetto della predetta attività imprenditoriale quali, in generale, gli immobili locati a terzi».

Tuttavia, secondo la recente Cassazione[10], la tematica non è così pacifica.

La Suprema Corte ha infatti negato la deducibilità delle quote di ammortamento di un immobile abitativo dato in locazione da una società commerciale, in quanto l’immobile non sarebbe strumentale né per natura (A/3) né per destinazione «essendo pacificamente locato a terzi da una società commerciale che neppure ha dedotto di svolgere la locazione immobiliare come attività di impresa».

Tale passaggio sembrerebbe ammettere per le società immobiliari la strumentalità per destinazione degli abitativi.

La Corte, in altra Ordinanza[11], in maniera forse più esplicita, ha condiviso le conclusioni del giudice di seconde cure in base alle quali sono da considerarsi strumentali gli immobili abitativi dati in locazione in virtù del fatto che «la loro collocazione sul mercato locativo rientra nell’attività di gestione propria di una società immobiliare», escludendo per gli stessi, l’applicabilità dell’art. 90 del TUIR, con il riconoscimento della deducibilità delle quote di ammortamento.

A detta della Corte, la distinzione tra beni strumentali (o beni “merce”) e beni “patrimoniali”, non si rinviene nel fatto che gli stessi siano stati o meno locati a terzi, quanto piuttosto nella loro destinazione e, con riferimento all’oggetto sociale, «è evidente che l’attività di locazione a terzi degli immobili rientra pienamente nell’oggetto dell’attività di impresa».

Il riconoscimento del carattere strumentale di un immobile sarebbe pertanto da ricavarsi nella funzione, appunto, strumentale del bene, non in senso oggettivo, ma in rapporto all’attività esercitata, a prescindere dalla mera categoria catastale di appartenenza[12].

Indicazioni contrarie a quanto sopra esposto paiono invece desumersi dalla Cassazione del 21 dicembre 2022 n. 37384, nella quale si precisa che, per le «società dedite alla locazione di unità immobiliari», tra le spese e gli altri componenti negativi di reddito relativi ai beni immobili “patrimoniali” indeducibili «rientrano le spese di manutenzione e riparazione, ed ogni altra spesa o perdita riferita a ciascuna unità immobiliare, inclusi i costi sostenuti per il personale dedito a servizi, manutenzioni, riparazioni, guardiania, amministrazione e gestione».

La questione appare, dunque, delicata non tanto per gli ammortamenti, dal momento che, non possono essere dedotti se il valore residuo è pari o superiore al valore netto contabile[13], bensì ai fini della deduzione di tutte le altre spese e componenti negativi di reddito.

Tuttavia, come sopra esposto, per gli immobili “patrimoniali” concessi in locazione, l’art. 90 comma 1 terzo periodo del TUIR dispone che le spese di manutenzione ordinaria documentate, sostenute ed effettivamente rimaste a carico, possono essere portate a riduzione del canone risultante dal contratto, nel limite del 15% del canone medesimo.

Il reddito è costituito dall’importo netto così determinato, laddove superiore al reddito medio ordinario dell’unità immobiliare.

Tale nuova impostazione costituirà argomento di analisi tenendo in considerazione l’evoluzione futura della giurisprudenza in materia.

 

 

a cura di Cristina Rigato e Giorgia Sarragioto

per il Centro Studi Deotto Lovecchio & Partners

 

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NOTE

[1] Art. 43, D.P.R. n. 917 del 22 dicembre 1986 (TUIR).

[2] Art. 92 TUIR (ovvero articolo 93 TUIR per le opere ultrannuali).

[3] Nell’ambito degli immobili “patrimonio” ricadono, per esempio, gli immobili abitativi detenuti dalle società immobiliari che svolgono attività di gestione di tali beni, per le quali la concessione in locazione non determina in alcun caso la qualifica di immobili strumentali (per destinazione), poiché per rientrare in tale categoria è necessario l’utilizzo diretto ed esclusivo dell’immobile da parte del possessore.

[4] Art. 90 comma 1, D.P.R. n. 917 del 22 dicembre 1986 stabilisce che «i redditi degli immobili che non costituiscono beni strumentali per l’esercizio dell’impresa, né beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa, concorrono a formare il reddito nell’ammontare determinato secondo le disposizioni del Capo II del Titolo I per gli immobili situati nel territorio dello Stato e a norma dell’articolo 70 per quelli situati all’estero. Tale disposizione non si applica per i redditi, dominicali e agrari, dei terreni derivanti dall’esercizio delle attività agricole di cui all’articolo 32, pur se nei limiti ivi stabiliti. Per gli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell’articolo 10 del codice di cui al D.lgs. 42/2004, il reddito medio ordinario di cui all’articolo 37, comma 1, è ridotto del 50% e non si applica comunque l’articolo 41. In caso di immobili locati, qualora il canone risultante dal contratto di locazione ridotto, fino a un massimo del 15% del canone medesimo, dell’importo delle spese documentate sostenute ed effettivamente rimaste a carico per la realizzazione degli interventi di cui alla lettera a), comma 1, articolo 3, D.P.R. 380/2001, risulti superiore al reddito medio ordinario dell’unità immobiliare, il reddito è determinato in misura pari a quella del canone di locazione al netto di tale riduzione. Per gli immobili locati riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell’articolo 10 del codice di cui al D.lgs. 42/2004, qualora il risultante dal contratto di locazione ridotto del 35% risulti superiore al reddito medio ordinario dell’unità immobiliare, il reddito è determinato in misura pari a quella del canone di locazione al netto di tale riduzione».

[5] Art. 3, comma 48, Legge n. 662/1996.

[6] Senza poter invocare la riduzione forfetaria delle spese prevista dall’articolo 37, comma 4-bis, TUIR.

[7] Con la circolare n. 10/2016 è stato chiarito che «se le parti stabiliscono nel contratto di locazione che le spese di manutenzione ordinaria siano addebitate al conduttore anziché al locatore, quest’ultimo non potrà dedurre gli importi delle spese in argomento e il canone rileverà per l’intero ammontare contrattualmente previsto».

[8] In altri termini, se l’impresa documenta spese di manutenzione ordinaria eccedenti la soglia massima del 15% dei canoni di locazione, l’abbattimento dei canoni continua ad essere riconosciuto nel limite del 15% senza possibilità di riportare l’eccedenza nei periodi d’imposta successivi, anche se l’importo delle spese sostenute nel corso di essi fosse inferiore al predetto limite. Diversamente, se sono documentate spese di manutenzione ordinaria inferiori alla citata soglia del 15% dei canoni di locazione, l’abbattimento viene riconosciuto fino a concorrenza delle spese di manutenzione sostenute e rimaste a carico dell’impresa

[9] Circolare n. 112/199 che richiama a sua volta Cass. Sez. Unite n. 1367 del 13/10/1983.

[10] Cass. 18 novembre 2022, n. 34063, che richiama Cass. n. 23897/2020; n. 4417/2020; n. 2153/2019 e n. 27820/2013.

[11] Cass. 23 luglio 2020, ord. n. 15753.

[12] Cass. 2 agosto 2017, n. 19219.

[13] OIC 16 (§ 59).

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